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Forse i peggiori lo sognano più di tutti

Ciclo immaginario dei film che cambiarono Hollywood

di Beppe Giuliano - 1/2/2009

La pre-lista dei 61 film

La colonna sonora del ciclo

Sogno di vedere, di nuovo, un ciclo di film come quello che diede la Rai (ero ragazzino, saran passati più di vent'anni, almeno), dedicato a quelle pellicole che, nei primi anni settanta, "cambiarono" Hollywood.

Non ricordo tutti i film programmati (un certo numero sì: L’uomo caffelatte di Marvin van Peebles, Alice’s Restaurant, Pookie di Pakula con la Minnelli giovane, È ricca, la sposo e l’ammazzo, traduzione italiana "da botte" dell’originale A New Leaf di Elaine May con il grandissimo Walter Matthau, Taking Off di Forman, L’imperatore del nord, il tenero Harry e Tonto di Mazursky, La sua calda estate con Jon Voight...).

Così ho scritto il mio personalissimo ciclo di sedici film, partendo (ovviamente) da Easy Ryder fino a Tornando a casa che è del '78, l'anno in cui ci capitò la disgrazia di conoscere Tony Manero; selezionati da una pre-lista di sessantuno tagliata a costo di sacrifici anche dolorosi (ho scelto un solo Peckinpah e un solo Altman, ho lasciato fuori Panico a Needle Park e addirittura Il cacciatore...):

Easy Rider – Libertà e paura, 1969, Dennis Hopper (e Peter Fonda). Ho trovata questa critica: "E' un noioso e superficiale film di denuncia dell'America razzista. Il lavoro realizzato quasi come un documentario, non riesce né ad esaltare liricamente la libertà, né, a parte la drammatica conclusione, a rendere con forza il contrasto con quelli che la libertà professano a parole, ma la negano coi fatti." Revisionismo filmico, gente...

Il mucchio selvaggio, 1969, Sam Peckinpah. Prendere il western, rigirarlo, rallentarlo, espoderlo. «Tutti sogniamo di tornare bambini, anche i peggiori di noi. Forse i peggiori lo sognano più di tutti» dice Pike Bishop, il personaggio interpretato da William Holden.

Un uomo da marciapiede, 1969, John Schlesinger. Premio oscar per film, regia, sceneggiatura non originale (unico film vietato ai minori a vincere il premio). La canzone per la colonna sonora era stata chiesta a Dylan che non la finì in tempo (pensava di proporre Lay Lady Lay).

Fragole e sangue, 1970, Stuart Hagmann. «Non mi preoccupo degli studenti più di quanto mi preoccupo delle fragole» dichiarò, forse, più o meno, il rettore della Columbia University. Comunque “la frase sulle fragole” (The Strawberry Statement è il titolo originale, il sangue ce l’abbiamo aggiunto noi) ricorre sia nel libro di James Simon Kunen, sia nel film. Si lascia ancora guardare piacevolmente. Con una grande colonna sonora californiana.

Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!, 1971, Don Siegel. Questo Dirty Harry per cui si parlò di “fascismo personale” spicca come una mosca bianca in un cartellone liberal (resta un gran film con grande regista e grandissimo attore, Clint Eastwood).

L’ultimo spettacolo, 1971, Peter Bogdanovich. Vent'anni dopo il regista tornerà a Anarene (una ghost town texana) per girare Texasville con alcuni degli attori de L'ultimo spettacolo (Jeff Bridges, Cloris Leachman ed altri), ma non sarà la stessa cosa. È tratto da un romanzo di Larry McMurtry (padre del cantautore James); in bianco e nero, non ha un commento musicale originale: in tutte le scene in cui vi è una musica di sottofondo, questa proviene da una radio, da un juke box o da un giradischi portatile.

Città amara – Fat city, 1972, John Houston. Tutta la miseria della California (la cittadina di Stockton) in un film doloroso, bellissimo, e oggi abbastanza trascurato, ingiustamente (non merita nemmeno una pagina sulla wikipedia italiana, per dire). Ernie è il secondo ruolo importante del grande Jeff Bridges, il primo essendo in L’ultimo spettacolo, il che ne fa l’unico attore con due film consecutivi in questo ciclo (sempre che tale distinzione possa venir premiata). Fat city in slang americano sta per «eldorado», quindi il titolo italiano è stato (come spesso accade) clamorosamente "toppato".

Il re dei giardini di Marvin, 1972, Bob Rafelson. I giardini di Marvin sono l'equivalente americano del nostro viale dei Giardini (o parco della Vittoria, non ricordo mai quale dei due). In una Atlantic City splendidamente decadente, un Jack Nicholson a rovescio (a fare il Nicholson c’è infatti Bruce Dern, lui fa la parte del “normale”).

La rabbia giovane (Badlands), 1973, Terrence Mallick. Questo film che si chiama come una canzone (del ’75) di Springsteen racconta la stessa storia (vera) che Bruce canterà in Nebraska. Con la splendida Sissi Spacek.

L’imperatore del nord, 1973, Robert Aldrich. Se lo sono dimenticati quasi tutti, tanto che si fa persino fatica a trovarlo su wikipedia (anche perché è un raro esempio di film che ha cambiato titolo cammin facendo, diventando Emperor of the North Pole). La feroce sfida all’ultimo sangue fra l’hobo Lee Marvin e il sadico capotreno Ernest Borgnine, con finale morale (quando giù dal treno vola anche uno dei molti Carradine, Keith in questo caso).

La conversazione, 1974, Francis Ford Coppola. Una delle più belle scene finali di sempre, Gene Hackman che suona il sax nell'appartamento smantellato pezzo per pezzo per scoprire la “cimice”, con una panoramica dall'alto come si trattasse della ripresa di una telecamera di sorveglianza.

Alice non abita più qui, 1975, Martin Scorsese. Ellen Burstyn è un po' più che affascinante. Questo film generò una sit-com (carina, ma col film aveva poco da spartire a parte il ristorante dove lei fa la cameriera, e il proprietario Mel)

Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975, Milos Forman. Cinque premi oscar per la grandiosa battaglia di Randle Patrick McMurphy (il vecchio Jack N.) contro la cattivissima Ratched (Louise Fletcher). Tratto dal libro di Ken Kesey, “uno dei padri della c.d. controcultura” e prodotto da Michael Douglas (proprio lui, l’erotomane simbolo dei patinati anni ottanta).

Taxi driver, 1976, Martin Scorsese. «You-talkin'-to-me? You-talkin'-to-me?», da noi: «Ma dici a me? Ma dici a me?» (Travis/Robert De Niro nel monologo di fronte allo specchio)

Tre donne, 1977, Robert Altman. La storia viene direttamente da un sogno del regista, che lui stesso non comprese appieno; dichiarò infatti di non essere certo del significato del film, pur avendo una sua teoria in proposito. Girato in una piccola comunità nel deserto, a est di Los Angeles. Che fine ha fatto l'incantevole Shelley Duval?

Tornando a casa, 1978, Hal Ashby. Ho trovata quest'altra critica: "Presunto film progressista (come 'Il cacciatore' era presunto reazionario) che pretende di raccontare il Vietnam attraverso la storia di un "triangolo" amoroso. Gli attori sono molto bravi (perfetto Bruce Dern) ma Hal Ashby sbaglia la mira. Il risultato: un melodramma pretenzioso e indigesto che conferma il grande disagio degli americani nel parlare della "sporca guerra". Mah?

 

Ogni onda è nuova, finché non si infrange...

«Nel 1975 ‘Lo squalo’ di Steven Spielberg ottenne un grandissimo successo e mostrò come anche la New Hollywood potesse incassare tanto. Ma il film segnò anche l'inizio della fine di quell'era. Infatti diede il via ai blockbuster, con i quali i produttori tornarono alla carica, riprendendo a produrre film kolossal costosissimi. Nel 1979 uscì il sontuoso ‘Apocalypse Now’, considerato l'ultimo film della New Hollywood. Nel 1981, infine, il gigantesco flop de ‘I cancelli del cielo’, diretto da Michael Cimino, segnò la fine del potere dei registi, che si videro tolto il final cut e dovettero nuovamente lottare con i produttori per raggiungere il controllo completo dei loro film.»

(fonte: Wikipedia, L’enciclopedia libera - http://it.wikipedia.org/wiki/New_Hollywood)

Nel mio modesto parere, e nei miei ricordi di ragazzino, la Nuova Hollywood finì il giorno in cui andai al cinema Corso a vedere La febbre del sabato sera. Lì, i ragazzi erano interessati solo a passi di danza e colletti delle camicie, di fatto. E nelle classifiche dei dischi spadroneggiava la atroce colonna sonora firmata Bee Gees. Sui giornali andava di moda il termine “riflusso”.

 

Leggi anche il ciclo di Alessandro, che estende e completa questo.

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