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Due film civili di Beppe Giuliano - 17/9/2008 «Io non sono quello da uccidere, sono quello da comprare.» (George Clooney in Michael Clayton)
Bobby è un film corale ambientato a Los Angeles, e viene quindi facile definirlo “alla Altman” (gli esempi sono vari, da Nashville a America oggi). Si svolge in un pomeriggio, quello del 5 giugno 1968, in cui Robert Kennedy (il Bobby del titolo) vince le cruciali primarie del partito democratico nello stato della California, fino al tragico epilogo notturno, con l’uccisione del giovane senatore nelle cucine dell’Hotel Ambassador. Il film ruota attorno alla vicenda pubblica per raccontare numerose storie private, alcune in modo azzeccato, altre un po’ più sfocate, o scontate, come per esempio lo sballo dei due giovani volontari della campagna e il loro spacciatore, l’insignificante Ashton Kutcher, la cui consorte (nella vita) invece recita una delle scene più efficaci, nel duetto con l’estetista Sharon Stone, donna tradita che conserva grande fascino nonostante il trucco la renda quasi irriconoscibile. Il regista Emilio Estevez si ritaglia un ruolo discretamente odioso che gli viene bene, mentre offrono superlative prove attoriali il solito “camaleonte” Anthony Hopkins e il suo avversario di scacchi Harry Belafonte, come pure il giovane Freddy Rodríguez, il cameriere Josè cui toccherà il destino di avere in grembo il senatore morente, e di mettergli in mano un rosario. Per chi, come me, nonostante tutto, continua a pensare a come sarebbe stato migliore il mondo se nel ’68 fosse diventato presidente dell’America Bobby, anziché Nixon, un film da guardare anche, nel finale, con mesta commozione, mentre si ascolta il discorso di RFK sulla minaccia, senza senso, della violenza.
Michael Clayton è un altro film che può rimandare, per varie ragioni, al cinema liberal degli anni Settanta. È un “legal thriller”, che non contiene certo rilevanti novità rispetto al genere, il cui protagonista è una Erin Brockovich al contrario, tutto sommato: entrambi sono dei non-avvocati che agiscono da avvocato, uno è un uomo e l'altra una donna (ma questa è la differenza più banale), Michael agisce sottotraccia quanto Erin si espone, ottiene il suo successo con un espediente e non con una battaglia giudiziaria, soprattutto è laconico tanto quanto Erin è focosa. L’interprete George Clooney, come sempre eccezionalmente bravo, “paga il biglietto” per le spettatrici così come Julia Roberts lo pagava per gli spettatori, certo. Il film è in generale molto ben recitato; tengono botta a Clooney sia la cattiva Tilda Swindon, sia il folle Tom Wilkinson, e pure è molto convincente Sidney Pollack, alla sua penultima apparizione come interprete (è morto nel maggio di quest’anno). Proprio Pollack aveva diretto I tre giorni del Condor, un film che citerei per giustificare il richiamo al cinema liberal degli anni Settanta (anche lì il protagonista si trova, di colpo, a essere bersaglio di un nemico potente e difficile da individuare), come il contemporaneo Perché un assassinio, o come lo splendido La conversazione di Coppola (il modello per ogni film in cui le invasioni tecnologiche controllano la vita dei protagonisti). Certo, allora i “villain” erano coloro che manipolavano la politica, adesso sono (meritatamente, verrebbe da chiosare) gli yesmen senz’anima che dirigono le multinazionali. Anche il finale ambiguo di questo Michael Clayton rimanda alla filmografia dell’altra Hollywood, oltre a essere un indubbio punto di forza del film diretto dall’esordiente Tony Gilroy, già sceneggiatore della trilogia di Bourne.
Già avevamo recensito Bobby e Michael Clayton quando uscirono. Se volete confrontare gli articoli, leggete qui e qui.
Bobby, di E. Estevez Michael Clayton, di T.
Gilroy Le schede dei film
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