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Pezzi di rabbia e voli di fantasia

di Ilaria Scala - 27/3/2005

Ho ascoltato il nuovo disco di Francesco De Gregori. Si intitola Pezzi, ha un puzzle monocolore in copertina, e richiede una grande attenzione.

Sotto l'apparente convenzionalità del singolo di apertura (quel "Vai in Africa Celestino" graditissimo alle radio), l'opera possiede valori nascosti che si rivelano soltanto dopo il terzo o quarto ascolto.

I testi evocano sbalordimento di fronte alla barbarie dei nostri tempi, rabbia che ancora non è rassegnazione, immagini romantiche a sprazzi, metafore crude e struggenti; la musica è malinconica e distorta, a volte in subordine rispetto alle parole, ma mai casuale o improvvisata.

Tenendo conto che la canzone peggiore di questo album (forse proprio la ballata di Celestino) è comunque superiore alla media delle canzoni in circolazione, va detto che forse Pezzi non è un capolavoro come lo fu Amore nel pomeriggio quattro anni fa.

Ma è il grido di chi ha perso anche l'ultima illusione nella politica, nella storia, nell'amore e nei rapporti umani in genere. E' il disegno di un mondo che abitiamo a fatica, perchè non ci piace più. E' un canto dolente che, proprio quando trova il coraggio di volare di fantasia (in "Gambadilegno a Parigi", "Passato remoto", "Le lacrime di Nemo - l'esplosione - la fine"), trova i suoi colori più belli, le sue note più vere.

 

F. De Gregori, Pezzi
Sony Music, 2005

Leggi la recensione di Alessandro su Pezzi

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