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Cartoline da Marrakech - La cura e la bellezza

di Ilaria Scala - 31/8/2008

Primo giorno - Gli odori e i motori

Secondo giorno - Le regole del gioco del suk

Terzo giorno - La cura e la bellezza

Quarto giorno - Addio all'oasi... o al miraggio

7 agosto 2008, terzo giorno a Marrakech.

La miscela di odori non la senti quasi più, ci hai fatto l’abitudine. Così come il canto del muezzin che sorvola la città dal minareto, ogni giorno e ogni notte ad orari stabiliti (5 in tutto… ma sembrano 500). Hai l’impressione, ogni giorno più acre e forte, che questa città non

La  Mederssa (scuola coranica) Ben Youssef - Foto I. Scala

voglia accoglierti, non voglia farsi scoprire, ma solo travolgerti nel suo ritmo, farti camminare con la sua andatura. Così ecco comparire una guida locale, novello Virgilio per condurti negli inferi e farti raggiungere il paradiso: la quiete incredibile di alcune strade nascoste, i portoni di legno intarsiato e marmo scolpito, i riad maestosi ed intimi ad un tempo, con i loro cortili interni rigogliosi di piante, rinfrescati da fontane, protetti dagli sguardi indiscreti e dai rumori esterni. Scopri all’improvviso, in quei chiostri di vecchie case nobiliari ora ridotte a residenze per turisti, che la casa marocchina non ha finestre esterne, l’aria e la luce la prende da dentro, piuttosto rinuncia al soffitto ma non si lascia guardare da fuori, a riprova e spiegazione di una riservatezza atavica che oggi si ritrova sui volti delle persone, nei loro sguardi un po’ torvi e poco inclini all’apertura di un sorriso. Ti conduce, il tuo Virgilio con il caftano d’ordinanza sopra ai bermuda a disegni floreali (ma allora il caftano… è un gadget per turisti?), con il badge da guida turistica appeso al collo, il berretto da baseball, i sandali da scoglio, ti conduce alla scuola coranica, dove i ragazzi studiavano il Corano come all’università nel XV secolo, e dove la calma irreale delle antiche celle per dormire e pregare, dei soffitti ornati di mosaici, dei portoni istoriati fa dimenticare la frenesia che c’è fuori, per strada. E al palazzo Bahia, residenza di vari potenti locali, labirinto di stanze concentriche e cortili comunicanti, porte incorniciate da mosaici, soffitti di legno dipinto.

Palazzo Bahia - Foto I. Scala

Non è la cura, non è la bellezza, non è l’eleganza che manca a questa città. Lo vedi dai dettagli di questi luoghi incantati, dalla discrezione degli operatori, dal saluto ostinato e rispettoso dei passanti. Lo vedi dal verde lussureggiante dei giardini privati visitabili a pagamento, come i giardini Majorelle, dimora anche di Yves Saint Laurent, piccola esposizione di piante locali disposte

Giardini Majorelle - Foto I. Scala

ad arte per i viali, piccola jungla urbana interrotta solo dalla casa dipinta di blu, dai vasi dipinti di giallo e arancione (ancora i colori protagonisti, ancora i dettagli curatissimi).

Non è il gusto, che manca. Manca la possibilità estesa di esprimerlo e di pervaderne la città. Manca la possibilità di moltiplicare e aggiungere cura e bellezza, sottraendo disordine, sporcizia, squallore e povertà. A chi serve un giardino così bello? Forse ai turisti, che vi trovano refrigerio, e che in cambio di quel refrigerio foraggiano lo Stato. Tutt’intorno al giardino è un pullulare di taxi marroni (il colore nazionale, il colore del deserto), sicuramente automobili “avanzate” dai paesi più ricchi, modelli e cilindrate antiquati, gas inquinanti, interni in lana o in pelle ricoperti ossequiosamente di tappeti o coperte, carrozzeria scrostata dalla sabbia.

 

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