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La neve se ne frega

di Ilaria Scala - 30/11/2005

Ho atteso più di un anno, per leggere l'ultimo libro di Ligabue. Il suo secondo libro, per la precisione, La neve se ne frega, del giugno 2004.

Ho atteso perchè non mi fido.

Non mi fido di chi sa scrivere canzoni, cantare e suonare, scrivere libri e dirigere film. Penso che sia impossibile in natura fare bene - veramente bene - più cose. Per me, quello che Ligabue sa fare bene è scrivere canzoni (quelle del suo ultimo album potrebbero essere migliori... ma sono comunque sopra la media).

Radiofreccia era un buon film. Prima eccezione alla regola d'oro.

E il libro di racconti da cui era tratto - Fuori e dentro il borgo - non era affatto male.

Accidenti, c'era di che insospettirsi, la validità del mio assunto vacillava. Avrei potuto lasciarmi convincere dal pettegolezzo che circolava all'epoca, che i racconti non fossero farina del suo sacco: un chitarrista ragioniere non poteva saper scrivere.

Ma leggeteli, quei racconti, e poi dite se non ci riconoscete le parole del Liga, la sua sintassi piana, gli anacoluti rock, il ritmo. Dite se non ci riconoscete la musica.

Poteva esserci di mezzo un buon editor, come no. Un buon editor fa miracoli. Ma quella farina era del sacco di Liga, senza dubbio.

Per fortuna il secondo film, Da zero a dieci, valeva poco o niente. La storia del cinema lo ha già cancellato, e meno male. E anche il disco annesso, a parte qualche sprazzo vitale (Chissà se in cielo passano gli Who, Tutti vogliono viaggiare in prima) valeva poco o niente.

Liga si ridefiniva come un creativo che esplorava nuovi territori, proprio mentre la sua creatività, con la crescita, si affievoliva. Logico. Valido. Indiscutibile.

Ho atteso più di un anno, per leggere La neve se ne frega, perchè volevo leggerlo in silenzio. Volevo dimenticare tutto quanto avevo pensato e ragionato sulle opere di Ligabue. Non volevo nessuna logica indiscutibile ad inquinarmi la lettura. Volevo afferrarlo dallo scaffale di una libreria, per caso o per istinto, senza pensare che l'avesse scritto lui (anche se non potevo pretendere di non saperlo, in fondo).

E' così che mi ha fregato.

Per l'idea, che l'autore aveva accennato in un paio di sue canzoni, e che la forma del romanzo gli consente di estendere, elaborare, moltiplicare di senso e fantasia: l'idea di un futuro rovesciato, di un piano infallibile per la felicità individuale, delle prevedibili falle del piano, e dell'infelicità individuale (e collettiva) che ne scaturisce.

Ma soprattutto, ancora una volta, per la scrittura: ancor più ritmica, ancor più serrata, ancor più modulata ed efficace perchè funzionale ad un progetto unitario, ad una storia complessa e completa, e non più ad una serie di micro-racconti.

Un buon editor non può fare miracoli di ogni tipo, e forse La neve se ne frega, in mano ad uno scrittore vero, sarebbe stato un libro ancora migliore. Ma già che ti tenga inchiodato alle sue 200 e più pagine senza quasi farti respirare, con la stessa tenacia con cui lo farebbe una ballata rock di tre minuti e mezzo, è un bel pregio.

Leggetelo quando vi sarete dimenticati anche di questa recensione reticente.

Leggetelo, se possibile, sotto la neve, o quando fuori cade la neve, e dentro non c'è nessun rumore.

Forse si può far bene più di una cosa. O almeno, qualcuno particolarmente dotato ci riesce. O almeno, ciò di cui ci convinciamo con ragionamenti basati sull'esperienza può non essere vero sempre. A volte, non è vero mai.

La neve se ne frega. Vi invito a fare altrettanto.

 

L. Ligabue, La neve se ne frega
Feltrinelli, Collana I Canguri, Milano 2004

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