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L'indecifrabilità del potere

di Alessandro Borgogno - 3/6/2008

Un sincero e perfino entusiastico Bentornato al cinema italiano. Quello coraggioso, a volte anche ardito. Quello che cerca soluzioni originali. Quello che ricerca nel linguaggio e nelle forme il modo più efficace di raccontare le cose in modo forte e suggestivo, anche a costo di non piacere. Quello che fugge dalle carinerie e dai buonismi in cui è andato scivolando nell’ultimo decennio grazie ai vari Muccino e Ozpetek. Insomma si rivede finalmente un cinema adulto e incisivo. Dopo il racconto secco e asciutto fatto da Garrone con Gomorra, su tutt’altro fronte e per tutt’altra strada ce lo fa rivedere Paolo Sorrentino con Il Divo, biografia non autorizzata e fortemente caratterizzata di Giulio Andreotti, di certo l’uomo di potere più rappresentativo e più sfuggente di tutta la storia politica di questo Paese.

E proprio di un film sul potere si tratta, assai più che di una biografia più o meno fedele ai fatti. Sorrentino, anche sceneggiatore, deve aver pensato molto prima di trovare una chiave che gli permettesse di scardinare in qualche modo l’impossibilità di raccontare in modo verosimile e credibile i meccanismi e le trame oscure da sempre esistenti e da sempre altrettanto irraccontabili. Alla fine l’ha trovata, del tutto personale e quasi senza precedenti, scegliendo di raccontare, ma solo come arco temporale, proprio il periodo in cui le fortune politiche del Belzebù nazionale hanno cominciato a vacillare, dalla mancata elezione al Quirinale alla messa sotto accusa nei processi di Palermo e Perugia, ma facendolo con uno stile e un andamento totalmente personali e inediti. Facile pensare ai migliori film di Elio Petri (in particolare Todo Modo e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), ma Sorrentino effettua uno scarto ancora più laterale rispetto allo sguardo simbolico e anche ideologico di Petri, mettendo in piedi un viaggio in bilico fra il realismo più crudo e il grottesco più fantastico.

In questo modo scavalca le pericolose trappole della cronaca giornalistica e del saggio storico e politologico per presentarci un ritratto quasi surrealista che, proprio come un quadro di Magritte, travalica il significato stesso delle situazioni e degli oggetti per rappresentare e mettere a fuoco l’essenza dei meccanismi del potere e dei rapporti fra gli avvenimenti e le persone, in una trasfigurazione al tempo stesso realistica e astratta.

Riesce nell’intento mescolando le soluzioni narrative più crude e dirette (impressionante la sequenza iniziale di morti ammazzati tutti più o meno collegati in qualche modo alla carriera politica del Divo Giulio) ad altre fortemente simboliche che sfiorano l’iperrealismo (i movimenti da automa del protagonista, che rappresentano in una sola immagine la sua impenetrabilità e le sue debolezze).

Raggiunge il suo scopo, assai difficile, con una sistematica distorsione degli elementi e delle coordinate stesse della narrazione, senza temere i simbolismi più arditi e le caratterizzazioni più spinte, piegando lo spazio (con un forte uso del grandangolare e della profondità di campo a volte larga a volte strettissima) e il tempo (con un uso del rallenti spesso estremo) alle esigenze di una rappresentazione quasi cubista.

In perfetta sintonia con il regista, tutti gli attori si prestano in modo magnifico a questo lavoro di stilizzazione. Toni Servillo, del quale è inutile sottolineare la bravura, si sottopone ad una trasformazione fisica e comportamentale che lo rende, al di là della somiglianza, impenetrabile e inquietante esattamente come l’originale, e si produce inoltre in un monologo volutamente teatrale che rappresenta anch’esso, come tante altre invenzioni, un momento di assoluta originalità del film. Carlo Buccirosso dà vita ad un irresistibile Cirino Pomicino e Flavio Bucci ad uno straordinario Franco Evangelisti. Giulio Bosetti (magnifico recupero dell’indimenticato narratore dello sceneggiato Leonardo Da Vinci degli anni Settanta) interpreta un gelido e precisissimo Eugenio Scalfari producendosi in una elencazione impressionante di tutte le “casualità” che vedono coinvolto il Senatore a vita in tutti i peggiori momenti della storia italiana. Bravissima Piera degli Esposti nella parte della insostituibile segretaria, e magnifica Anna Bonaiuto nella parte della moglie di Andreotti, personaggio al quale Sorrentino affida anche una delle affermazioni a nostro giudizio più importanti del film, quello che tanti di noi avrebbero voluto sentir dire tante volte nei tanti anni passati e che invece nessuno ha mai detto, facendoci finalmente sentire qualcuno che dice chiaro e tondo che Andreotti non è così intelligente come tutti dicono, e che le sue battute non ci fanno ridere e ci hanno stufato, e che rispondere sempre con una battuta anche alle questioni più tragiche non è né divertente né intelligente, è indecente ed osceno.

Film intelligentemente senza tesi e senza soluzione, che volontariamente non scioglie nessuno dei dubbi e dei misteri che circondano la vita e le attività del personaggio più ambiguo di tutta la nostra storia repubblicana e che altrettanto volutamente si espone al rischio di deludere o di essere maltrattato per la sua singolarità, ma che consegna al cinema italiano un’opera visivamente sontuosa, grammaticalmente moderna e con una ricchezza di contenuti pressoché inesauribile, almeno quanto la nostra storia patria degli ultimi cinquant’anni.

 

Il divo, di P. Sorrentino
con T. Servillo, A. Bonaiuto, P. Degli Esposti, C. Buccirosso, G. Bosetti, F. Bucci, G. Colangeli, P. Graziosi, A. Cracco, L. Gioielli, G. Imparato, M. Popolizio, A. Ralli 
Italia 2008

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