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Viaggio a Gomorra

di Alessandro Borgogno - 3/6/2008

Ogni tanto, e in Italia ancor meno spesso, c’è qualcuno che riesce a ricordarci che il cinema non è soltanto un giocattolo. Come la letteratura e come le altre arti, a volte lo si può anche usare per fare qualcosa che non sia soltanto intrattenere per un paio d’ore spettatori annoiati. Lo fanno Domenico Procacci come produttore e Matteo Garrone come regista trovando una chiave narrativa secca ed efficace per portare sullo schermo Gomorra, il romanzo-inchiesta-documento di Roberto Saviano sulla realtà della criminalità campana e sui meccanismi profondi e invasivi della camorra napoletana. Dal libro vengono estratte alcune storie, non necessariamente intrecciate o collegate fra loro se non dal territorio e dagli ambienti dove si svolgono, e la regia si occupa di seguire personaggi e situazioni con lo sguardo più neutro possibile, quasi privo di giudizi o di trovate narrative. Il risultato, oltre ad una verosimiglianza assolutamente indiscutibile che non permette mai di dubitare su quanto ci sia di vero in ciò che si racconta, è quello di immergere lo spettatore per un paio d’ore in un mondo sempre raccontato ed evocato ma mai visto davvero, di certo mai così dall’interno. Nessuna morale, nessun teorema, nessuna lirica. Realtà cruda che raggiunge immediatamente lo scopo di mostrare come le persone coinvolte, tutte, abbiano in realtà possibilità di scelta assai scarse se non nulle. Quello è il loro mondo, e non ne hanno un altro. Quelle sono le logiche, quelle le possibilità offerte a chi vuole sopravvivere. Perché di sopravvivenza si tratta. Se c’è un tratto comune fra le storie raccontate è forse quello di cogliere i personaggi nel momento in cui si trovano costretti a fare una scelta. Ma non si tratta di scegliere fra il crimine e la legalità o fra il vizio e la virtù. Legalità e virtù semplicemente non esistono. Si tratta di scegliere fra la vita e la morte, fra un crimine e l’altro, fra tradimento e sopravvivenza, entrambi terrorizzanti.

La regia finge il documentario ma con estrema maestria fa cinema vero, e si regala anche un paio di momenti di virtuosismo, quasi mascherati (la scena al porto fra i container di rifiuti tossici e l’inseguimento in moto dei due ragazzi che devono commettere un omicidio). La direzione degli attori, come si suol dire corale, è eccellente, senza distinzione fra professionisti e dilettanti, tutti impegnati in modo impeccabile a rendere realistica una realtà assai difficile da riprodurre senza il rischio di apparire eccessivi.

Film dai molti meriti, e fra questi forse il maggiore e più originale, frutto di un notevole rigore, è la totale spoliazione di qualunque aspetto mitico o romantico o affascinante che il crimine in genere e la criminalità organizzata in particolare può suscitare al cinema, e che tanto spesso ha suscitato. Pericolo quasi inevitabile che il film invece evita totalmente grazie ad una sistematica evidenziazione della miseria e della disperazione profonda che muove ogni personaggio, così come la constatazione che tutti, dalle vittime ai carnefici, vivono comunque immersi nel più assoluto squallore anche quando maneggiano mazzette di denaro.

Certo non è un film che si può guardare a cuor leggero, e forse è anche difficile che possa segnare una strada per altri perché non facilmente ripetibile né nello stile né nei contenuti, ma di certo è un film coraggioso e sincero, che coglie nel segno con la giusta durezza e senza buonismi consolatori.

Normalmente si dice “un salutare pugno nello stomaco”. Qui forse più che un pugno nello stomaco si tratta di due schiaffoni in faccia, di quelli che stanno a significare “Sveglia! Tu che stai lì sulla poltroncina non è che ne stai fuori. Questo non è un altro mondo, è il tuo.”.

 

Gomorra, di M. Garrone
con T. Servillo, G. Imparato, M. Nazionale, S. Cantalupo, G. Morra, S. Abruzzese, M. Macor, C. Petrone, C. Paternoster
Italia 2008

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