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Signuri patri chi vinisti a fari? |
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ovvero la triste storia della Baronessa di Carini - seconda puntatadi Alessandro Borgogno - 8/9/2006 Come promesso nella prima puntata di questa storia, ecco la mia indegna trasposizione in prosa del poema popolare della Baronessa di Carini. Segue l’originale in vernacolo siciliano, per chi voglia godersi la vera poesia…
Piange Palermo, piange Siracusa, tutta la Sicilia è in lacrime. A Carini tutte le case sono in lutto, e chi fu la causa di questa atroce notizia possa non avere mai più pace nella sua casa. In questo momento la mia mente è confusa e ho il cuore gonfio, e mi ribolle il sangue nelle vene. Vorrei che una modesta canzone, modesta ma piena di rispetto, piangesse colei che fu per la nostra casa e la nostra terra una colonna, la più bella stella che sorrideva nel cielo, un’anima senza ombre e senza veli, la stella più bella tra tutte le stelle: la povera Baronessa di Carini. I suoi splendidi occhi sono ormai divorati dai vermi, seppelliti sotto la nuda terra, senza più nessun amico intorno, e conoscono ormai soltanto il mio povero amore di cantastorie. E voialtri, tutti voi che avete appreso la tragica notizia, elevate il vostro pensiero solo al Signore, e non turbatela più, perché un giorno anche voi sarete come lei, vermi fra i vermi. Fate solo elemosina e carità e solo così, andando anche voi in cielo, un giorno la ritroverete. Fiumi, montagne e alberi, piangete anche voi. Sole e luna, non apparite più. La bella Baronessa che ora avete perduta, ebbene, era lei che vi dava i raggi innamorati per tutti gli innamorati. Uccellini dell’aria, cosa volete ora? Cercate il vostro amore, ma lo cercate invano! Barchette che venite lente a questi lidi, da oggi spingete le vostre piccole vele con il segno del lutto, un lutto davvero scuro, perchè è morta la Signora dell’amore. Amore, amore, piangi questa tragedia, piangi quel gran piccolo cuore senza più pace, quegli occhietti, quella bocca benedetta di cui, mio Dio, non resta più neppure l’ombra! Però, però c’è il sangue che grida vendetta, ed è ancora rosso nella parete, e grida vendetta, e aspetta vendetta! E verrà. Perché c’è chi viene con piede di piombo, quello che solo governa il mondo. Sì verrà, perché c’è chi viene con passo lento, ma prima o poi, anima di Caino, ti raggiungerà lo stesso. Così avvenne. Attorno al castello di Carini passava e ripassava un bel Cavaliere, sia al mattino che alla sera, con gli occhi al cielo verso quella finestra, e girava come un’ape in aprile intorno ai fiori per coglierne il nettare. Eccolo ora che compare dalla pianura sopra un cavallo, bello, che vola senza ali. Ed eccolo ora di notte con il mandolino, e potete sentire nel giardino la sua voce. Il Giglio soave che spande il suo profumo, avvolto fra le sue stesse fronde, per evitare gli invitabili affanni di quell’amore non risponde alle premure dell’amante. Ma dentro, ah, dentro è divorata da potenti fiamme, e si aggira sconvolta e confusa, finché il senno non le regge più. Perché è così. Perché così l’amore domina tutti. Questo fiore è nato con gli altri fiori, e già a marzo cominciò a far cadere i suoi petali. Aprile e maggio ne hanno potuto godere l’odore, ma con il sole di giugno già prendeva fuoco, un fuoco che brucia in tutte le ore, un fuoco che brucia, che brucia e non consuma. Ed è questo grande fuoco che dà vita a quei due cuori, e li trascina insieme, come calamita, fin dentro le sue fiamme. Vita dolce, questa vita d’amore, non superata mai da nessun’altra, se solo la si potesse vivere fino al colmo. Il sole del cielo passa, e poi si ferma, e poi ancora le stelle lo seguono a ruota. E così una piccola catena, piccola ma invincibile, stringe i loro cuori e li fa battere insieme, e quella stessa felicità li colora, li colora d’oro e di rosa. Ma l’oro fa l’invidia di cento e più persone, e la rosa è bella, ma è fresca solo per un momento. E così avvenne. Il Barone era appena tornato dalla caccia: “Mi sento stanco” disse “Voglio riposarmi”. Ma proprio allora si presenta alla porta per parlargli un piccolo frate, infame e traditore. “Sono stati insieme tutta la notte!” gli dice “Lunghe confidenze hanno da farsi!” Gesù Maria, che brutta aria che si alza in un istante! Inequivocabile segnale di tempesta! E intanto il fraticello se ne va, ridacchiando soddisfatto, e di sopra, nelle sue stanze, il barone si agita infuriato. Fu allora che la luna s’ammantò di nuvole, e svolazzò il gufo, spaventato persino lui. E fu allora che il barone afferrò spada ed elmo e spronando il cavallo gli gridò nel buio: “Vola cavallo! Fuori da Palermo! E voi, miei fedeli, benché sia notte, seguitemi e tenetemi dietro!” Ormai già una luce rosata si posava sulla schiena di Ustica, laggiù in mezzo al mare. La rondinella che vola e si solleva, come per salutare il sole, vede spesso il suo volo interrotto dall’arrivo dello sparviero, e timida e terrorizzata si nasconde dentro il nido, nella speranza di potersi salvare. Questa stessa paura e questo stesso terrore toccò alla Baronessa di Carini mentre, affacciata al suo balcone, si beava del suo amore. Sentì il rumore, guardò verso la pianura. “Vedo venire una cavalleria, questo è mio padre che viene per me! Arriva seguito da molti cavalieri, si, è mio padre, che mi viene ad ammazzare…” “Signor Padre, che veniste a fare?” “Signora Figlia, vi vengo ad ammazzare!” “No, Signor padre, datemi almeno un po’ di tempo, poco appena, almeno per chiamare il mio confessore!” “E’ da tanti anni che ci prendi in giro, e adesso vai cercando la confessione? Questa non è ora di confessioni, e neppure di ricevere il Signore!”
Dette queste parole spietate, sguainò la spada e le squarciò il cuore. Al primo colpo la donna cadde, al secondo colpo, la donna morì. Ma ancora non sapete quanta pena, per quell’anima infelice, quando si vide senza nessuno che venisse in suo aiuto. Era perduta, e cercava qualche amico, e correndo disperata da una sala ad un’altra nel grande castello voleva sfuggire alla morte e gridava forte: “Aiuto, carinesi! Aiuto, aiuto! Vuole uccidermi!” E infine distrutta disse “Cani carinesi!”, e questo fu il suo ultimo grido. Ultimo grido e ultimo spasimo, perché poi perse il sangue, e poi perse il colore. E allora almeno correte adesso, correte tutti, gente di Carini, ora che è morta la vostra Signora, ora che è morto il giglio che fioriva qui da voi, e ne ha colpa un cane traditore. Correte tutti, monaci, padrini, sacerdoti, e datele almeno onorata sepoltura. Correte tutti, buoni paesani, e portatela almeno alla tomba in degna processione. Di lì a poco, la terribile notizia giunse anche al palazzo, e la nonna cadde a terra svenuta, e le sorelline si strapparono i capelli, e gli occhi della mamma si chiusero e non vollero vedere più nulla. E un attimo dopo si seccarono i garofani nei vasi, e a lungo restarono spoglie le finestre. E il gallo che cantava non cantò più, e sbattendo le sue ali fuggì via. E ora guardate, e ascoltate: a due e a tre si riuniscono le genti, e fanno crocchio con il cuore tremante, e per la città si ode un brusio del calabrone che pare un gemito e un pianto. “Che mala morte, che morte atroce, lontana dalla madre a dall’amante, l’hanno seppellita di notte, al buio, e anche il becchino aveva paura”. E così né io né nessun altro ti ha potuto ornare di fiori, né ha più rivisto il tuo bel volto. Ho il cuore spezzato, e neanche riesco più a parlare mentre sono qui, in ginocchio, sopra la tua lastra di marmo. Povero ingegno mio, cerca di mettere le ali e volare via, alto, e cancellare così questo nero dolore. Per poter davvero scrivere e fermare le mie lacrime, dovrei avere la mente del Re Salomone, ma non ce l’ho. E così la mia piccola barca resta fuori dal porto, senza guida, in mezzo alla tempesta.
LA BARUNISSA DI CARINI I Chianci Palermu, chianci Siracusa Carini c'e' lu luttu ad ogni casa... cu' la purtau sta nova dulurusa mai paci possa aviri a la so' casa... aju la mente mia tantu cunfusa... lu core abbunna... lu sangu stravasa. Vurria na canzunedda rispittusa... chiancissi la culonna a la me' casa; la megghiu stidda chi rideva in celu, anima senza cappottu e senza velu La megghiu stidda di li Serafini... povira Barunissa di Carini!... II Ucchiuzzi beddi di vermi manciati ca sutta terra vurvicati siti... tutti amici cchiu' non vi truvati, vui sulu lu me' amuri canusciti... Pinsati a Diu e cchiu' nun la turbati!... Ca un journu comu idda vui sariti... Limosina faciti e caritati ca un jornu 'nparadisu la truvati. III Ciumi, muntagni, arvuli chianciti... Suli cu Luna cchiu' nun affaciati! La bedda Barunissa chi pirditi, vi li dava li raj 'nnamurati! Acidduzzi di l'aria, chi vuliti? Lu vostru amuri 'mmatula circati! Varcuzzi chi a sti prai lenti viniti, li viliddi spincitili alluttati... ed alluttati cu li lutti scuri, ca morsi la Signura di l'amuri. IV Amuri, amuri, chiànciti la sditta! Ddu gran curuzzu cchiù nun t'arrisetta... dd'ucchiuzzi, dda vuccuzza biniditta, o Diu! Chi mancu l'ummira nni resta! Ma c'è lu sangu chi grida vinnitta, russu a lu muru... e vinnitta nn'aspetta. E c'è cu veni cu pedi di chiummu... Chiddu chi sulu guverna lu munnu... E c'è cu veni cu lentu cammino ti iunci sempri, arma di Caino...! V Attornu a lu Casteddu di Carini, ci passa spesso un beddu Cavaleri; ci passa matinati e siritini, l'ucchiuzzu a li finestri sempri teni... giria come làpuzza 'ntra l'aprili, n'torno a li ciuri pi cogghiri lu meli; ed ora pi lu chianu vi cumpari, supra d'un baju chi vola senz'ali... ora di notti cu lu minnulino, sintiti la so vuci a lu jardinu. VI Lu gigghiu finu, chi l'uduri spanni, ammugghiateddu a li sò stessi frunni, voli cansari l'amurusi affanni... e a tutti sti primuri nu' rispunni; ma dintra adduma di putenti ciamuni. Va trasannata e tutta si confunni... e sempri chi lu sensiu'u n'ha valuri, ca tutti accussi' domina l'amuri. VII Stu ciuriddu nasciu cu l'autri ciuri... spanpinava di marzu a pocu a pocu aprili e maju nni godiu l'oduri... cu lu suli di giugnu pigghiau focu; e di tutt'uri stu gran focu adduma... adduma di tuttùri e nun cunsuma... stu gran focu a dù cori duna vita... li tira appressu comu calamita. VIII Chi vita duci, ca nuddu la vinci, gudirila a lu culmu di la rota! Lu suli di lu celu, passa e 'mpinci li stiddi ci si mettinu pi rota! 'na catinedda li curuzzi strinci, battinu tutti dui supra 'na mota, e la filicitá chi li dipinci attornu, attornu d'oru e di rosa; ma l'oru fa invidia di centu, la rosa è bedda e frisca pi un mumentu. IX Lu barumi di caccia avia turnatu... - mi sentu stancu, vogghiu arripusari - quanno a la porta si ci ha prisintatu un munacheddu e ci voli parrari; tutta la notti 'nsemmula hannu statu... la cunfidenza longa l'hannu a fari Gesù Maria! Chi ariu 'nfuscatu chistu di la tempesta è lu signali! Lu munacheddu nisceva e ridia, e lu baruni susu sdillinia. X Di nuvuli la luna s'ammugghiau... lu jacabu scantatu sbulazzau; afferra lu baruni spada ed elmu... - vola cavaddu, fora di Palermu... prestu, fidili, binchì notte sia, viniti a la me spadda 'ncumpagnia. XI 'Ncarnatedda calava la chiaria supra la schina d'Ustica a lu mari; la rininedda vola e ciuciulia e s'ausa pi lu suli salutari; ma lu spriveri cci rumpi la via, l'ugnidda si li voli pilliccari, timida a lu so niru s'agnunìa, a mala pena ca si po' sarvari. XII Simili scantu, simili tirruri appi la Barunissa di Carini. Era affacciata 'nta lu so balcuni chi si pigghiava li spassi e piaciri... - Viu viniri la cavalleria... chistu è mè patri chi vini pi mia... Viu viniri 'na cavallarizza, forsi è mè patri chi mi veni ammazza - Signuri patri chi vinisti a fari?... - Signura figghia, vi vinni ammazari. XIII - Signuri patri, accurdatimi un pocu, quanto mi chiamu lu me confissuri! - Avi tant'anni chi la pigghi a jocu, ed ora vai cercannu cunfissuri? Chista'un è ura di cunfissioni. E mancu di riciviri Signuri! E comu dici sti amari parole, tira la spada e ci scassà lu cori. Lu primu colpu la donna cariu... l'appressu colpu la donna muriu. XIV Oh chi scunfortu pi dd'arma 'nfilici quannu 'un si vitti di nuddu ajutari! Era abbattuta e circava l'amici... di sala in sala si vulia salvari... gridava forti:- aiutu carinisi... aiutu, aiutu... mi voli ammazzari!... Dissi arraggiata:- cani carinisi! L'ultima vuci chi putissi dari... I'ultima vuci e l'ultimu duluri... ca persi gia' lu sangu e lu culuri. XV Curriti tutti, genti di Carini, ora che morta la vostra Signura: mortu lu gigghiu chi ciuria a Carini... 'nnavi curpanza un cani tradituri! curriti tutti, monaci e parrini, purtativilla 'nsemi in sepoltura... curriti tutti, paisaneddi boni, purtativilla in gran processioni. XVI La nova allura a lu palazzu ju... la nunna cadiu 'nterra e strangusciau: ii so suruzzi capiddi 'un avianu, la so matruzza di l'occhi annurvau... Siccaru li garofali a li grasti, e sulu c'arristaru li finestri. Lu gaddu chi cantava 'un canto' chiui va sbattennu l'aluzzi e sinni fui. XVII A dui, a tri s'arrotano li genti, fannu concùminu cu pettu tremanti: pi la citati un lapuni si senti, 'mmistatu di ruccoli e dichianti: - chi mala morti! chi morti dulenti! Luntana di la matri e di l'amanti: la vurvicaru di notti a lu scuru... lu beccamortu si scantava puru. XVIII Iu nun ti potti di ciuri parrari iu nun la vitti cchiu' la to fazzouni: mi nesci l'arma nun pozzu ciatari supra la to balata addinucchiuni. Poviru 'ngegno miu, mettiti l'ali, dispincimi stu niuru duluri: pi li me l'armi scriviri e nutari vurria la menti di re Salumuni... La me' varcuzza forsa 'menzu la timpesta!
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