editoriali

 

Martedì 11 Settembre

di Alessandro Borgogno - 8/9/2006

Era un martedì. Mattina.

Quel giorno accade qualcosa in un luogo del mondo. Qualcosa di terribile che rischiamo di dimenticare e che molti hanno già dimenticato. Morirono molte persone per volontà di qualcuno. Alcune subito, alcune in seguito, ma alla fine in tutto migliaia e migliaia e migliaia... tutte innocenti, ma innocenti davvero.

Era il 1973.

Martedì 11 Settembre 1973.

Il luogo era il Cile.

Era un paese normale e democratico, all'epoca. O meglio, un paese diventato finalmente democratico a prezzo di immani fatiche e che cominciava a diventare un paese normale. C'era un presidente eletto democraticamente da una maggioranza schiacciante della popolazione. Però quelli che ora fanno le guerre per far diventare 'democratici' i paesi che non lo sono stranamente, allora, decisero di finanziare ed appoggiare chi voleva strappare con la forza la democrazia conquistata in quel paese. Chissà perchè. Forse non era una democrazia 'buona', e allora era meglio un regime fascista tenuto in mano dai militari.

L'11 settembre è la data che vide l'annientamento del governo democratico di Salvador Allende in Cile e la presa del potere di Pinochet e del suo esercito.

E' il ricordo del sogno di un popolo violentato e sgozzato dalla dittatura.

Quel giorno accadde qualcosa di unico e allucinante nella storia dell'umanità.

Quel giorno aerei militari mitragliarono e bombardarono il palazzo presidenziale, con meticolosa precisione. E dentro il palazzo c'erano il presidente e il suo governo, democraticamente eletti. Bisogna ripetere ogni volta questo aggettivo eppure sembra che anche così non basti, perchè quel giorno qualcuno decise che in quel caso la democrazia era un concetto senza valore. Senza valore, esattamente come la vita umana.

Il presidente fu massacrato dentro il suo palazzo con tutti i suoi uomini.

Nel regime di terrore che seguì, furono uccise migliaia di persone. Molte altre semplicemente ‘scomparvero'. Da allora il termine 'desaparecidos' avrà un significato mai più equivocabile (almeno finché una trasmissione televisiva a premi sul modello Grande Fratello non deciderà di intitolarsi Desaparecidos - chi scomparirà questa settimana?).

I plotoni di esecuzione eseguirono centinaia di condanne a morte in pubblico. Furono aperti in tutto il paese campi di concentramento e camere di tortura. I morti vennero seppelliti nei pozzi minerari e in tombe senza lapide. Per diciassette anni, il popolo cileno ha vissuto nella paura che qualcuno bussasse alla porta a mezzanotte, che ogni giorno una persona cara 'sparisse' improvvisamente senza lasciare traccia, di essere improvvisamente arrestati e torturati. Ogni giorno, per diciassette anni.

Un brevissimo racconto per tutti, e senza commenti, solo cronaca: il musicista Victor Jara fu arrestato e portato dai militari di fronte alla folla nello stadio di Santiago.

Gli amputarono le mani.

Poi i soldati di Pinochet gli gettarono addosso la sua chitarra ridendo e ordinandogli di suonarla.

Poi gli spararono.

Ah già, Pinochet.

Pinochet oggi sta in Cile, libero, finto malato su una finta sedia a rotelle, e qualche povero illuso 'democratico', nel suo paese e anche in altri paesi, soprattutto europei, sta ancora tentando di trovare il modo di processarlo e di condannarlo, ma non ci riesce. Morirà quasi certamente libero nel suo letto. Chissà perchè non interessa a molti che paghi almeno per qualcuna delle colpe. Almeno qualcuna, visto che pagare per tutte le sue colpe sarebbe materialmente impossibile. Forse solo se esistesse davvero l'inferno, ma c'è da dubitarne. Almeno nell'aldilà, perchè invece in Cile l'inferno c'è stato, di qua e non di là, e molti, troppi Cileni l'hanno conosciuto da vivi.

C'è poco altro da raccontare di quell'undici settembre, e soprattutto pochissimo di raccontabile.

Forse una delle cose più terribili che si possano leggere, per avere un minimo di idea, è il testo degli annunci radiofonici del presidente Allende durante quelle ore allucinanti. Difficile trovare qualcosa di più secco e asciutto e terrificante di quelle parole, tenaci fino all'ultimo nel difendere un'idea di paese, di civiltà, di umanità. Fino alla morte. Ora per ora, tra una bomba e l'altra con i suoi uomini, civili come lui, che gli morivano intorno uno dopo l'altro, fino a quando capisce definitivamente che neanche lui può più fare nulla, che dopo qualche istante anche la sua vita sarà finita, e con lui la libertà e la speranza di milioni di persone innocenti.

Un po' di anni dopo è successo qualcos'altro di terribile in un altro posto del mondo, sempre l'11 settembre e sempre di martedì. Ma quello ce lo ricordiamo tutti, e quello nessuno cerca né cercherà di farcelo scordare.

E ora lascio la parola a Salvador Allende.

7.55, Radio Corporaciòn

Parla il Presidente della Repubblica dal palazzo della Moneda.

Viene segnalato da informazioni certe che un settore della marina avrebbe isolato Valparaiso e che la città sarebbe stata occupata. Ciò rappresenta una sollevazione contro il Governo, Governo legittimamente costituito, Governo sostenuto dalla legge e dalla volontà del cittadino. In queste circostanze, mi rivolgo a tutti i lavoratori. Occupate i vostri posti di lavoro, recatevi nelle vostre fabbriche, mantenete la calma e la serenità.

Fino ad ora a Santiago non ha avuto luogo nessun movimento straordinario di truppe e, secondo quanto mi è stato comunicato dal capo della Guarnigione, la situazione nelle caserme di Santiago sarebbe normale.

In ogni caso io sono qui, nel Palazzo del Governo, e ci resterò per difendere il Governo che rappresento per volontà del Popolo. Ciò che desidero, essenzialmente, è che i lavoratori stiano attenti, vigili, e che evitino provocazioni. Come prima tappa dobbiamo attendere la risposta, che spero sia positiva, dei soldati della Patria, che hanno giurato di difendere il regime costituito, espressione della volontà cittadina, e che terranno fede alla dottrina che diede prestigio al Cile, prestigio che continua a dargli la professionalità delle Forze Armate. In queste circostanze, nutro la certezza che i soldati sapranno tener fede ai loro obblighi.

Comunque, il popolo e i lavoratori, fondamentalmente, devono rimanere pronti alla mobilitazione, ma nei loro posti di lavoro, ascoltando l’appello e le istruzioni che potrà lanciare loro il compagno Presidente della Repubblica.

8.15

Lavoratori del Cile:

Vi parla il Presidente della Repubblica. Le notizie che ci sono giunte fino ad ora ci rivelano l’esistenza di un’insurrezione della Marina nella Provincia di Valparaiso.

Ho dato ordine alle truppe dell’Esercito di dirigersi a Valparaiso per soffocare il tentativo golpista.

Devono aspettare le istruzioni emanate dalla Presidenza.

State sicuri che il Presidente rimarrà nel Palazzo della Moneta per difendere il Governo dei Lavoratori.

State certi che farò rispettare la volontà del popolo che mi ha affidato il comando della nazione fino al 4 novembre 1976.

Dovete rimanere vigili nei vostri posti di lavoro in attesa di mie informazioni.

Le forze leali rispettose del giuramento fatto alle autorità, insieme ai lavoratori organizzati, schiacceranno il golpe fascista che minaccia la Patria.

8.45

Compagni in ascolto:

La situazione è critica, siamo in presenza di un colpo di Stato che vede coinvolta la maggioranza delle Forze Armate. In questo momento infausto voglio ricordarvi alcune delle mie parole pronunciate nell’anno 1971, ve lo dico con calma, con assoluta tranquillità, io non ho la stoffa dell’apostolo né del messia.

Non mi sento un martire, sono un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato.

Ma stiano sicuri coloro che vogliono far regredire la storia e disconoscere la volontà maggioritaria del Cile; pur non essendo un martire, non retrocederò di un passo.

Che lo sappiano, che lo sentano, che se lo mettano in testa: lascerò la Moneda nel momento in cui porterò a termine il mandato che il popolo mi ha dato, difenderò questa rivoluzione cilena e difenderò il Governo perchè è il mandato che il popolo mi ha affidato.

Non ho alternative.

Solo crivellandomi di colpi potranno fermare la volontà volta a portare a termine il programma del popolo.

Se mi assassinano, il popolo seguirà la sua strada, seguirà il suo cammino, con la differenza forse che le cose saranno molto più dure, molto più violente, perché il fatto che questa gente non si fermi davanti a nulla sarà una lezione oggettiva molto chiara per le masse.

Io avevo messo in conto questa possibilità, non la offro né la facilito.

Il processo sociale non scomparirà se scompare un dirigente.

Potrà ritardare, potrà prolungarsi, ma alla fine non potrà fermarsi.

Compagni, rimanete attenti alle informazioni nei vostri posti di lavoro, il compagno Presidente non abbandonerà il suo popolo né il suo posto di lavoro.

Rimarrò qui nella Moneda anche a costo della mia propria vita.

9.30 Radio Magallanes

In questi momenti passano gli aerei.

Potrebbero mitragliarci.

Ma sappiate che noi siamo qui, almeno con il nostro esempio, che in questo paese ci sono uomini che sanno tener fede ai loro obblighi.

Io lo farò su mandato del popolo e su mandato cosciente di un Presidente che ha dignità dell’incarico assegnatogli dal popolo in elezioni libere e democratiche.

In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della Patria, mi appello a voi per dirvi di avere fede.

La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine.

Questa è una tappa che sarà superata.

Questo è un momento duro e difficile: è possibile che ci schiaccino.

Ma il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.

Pagherò con la vita la difesa dei principi cari a questa Patria.

Coloro i quali non hanno rispettato i loro impegni saranno coperti di vergogna per essere venuti meno alla parola data e aver rotto la dottrina delle Forze Armate.

Il popolo deve stare in allerta e vigile.

Non deve lasciarsi provocare, né deve lasciarsi massacrare, ma deve anche difendere le proprie conquiste.

Deve difendere il diritto a costruire con il proprio sforzo una vita degna e migliore.

9:40

Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.

La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes.

Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.

Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.

Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!

Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.

E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.

Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.

La storia è nostra e la fanno i popoli.

Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.

In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.

Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.

Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.

Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.

Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.

Erano d’accordo.

La storia li giudicherà.

Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.

Non importa.

Continuerete a sentirla.

Starò sempre insieme a voi.

Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.

Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.

Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.

Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.

Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.

Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!

Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.

Santiago del Cile, 11 Settembre 1973.

 

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