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Il ritmo di Vercelli di Beppe Giuliano - 25/7/2006 Sul tavolino di fronte al palco c’è un cavaliere con stampato “Riservato Stampa” (tutto in maiuscolo, per la verità; ma mi sembrava esagerato riscriverlo così) e sotto, aggiunto a biro, qualcosa come ‘L’eco vercellese’, ‘La gazzetta di Vercelli’ o altra testata simile. Sul palco sale un cantautore americano, il solito tipo che ha scritto una canzone o due davvero belle, venduto una ventina di dischi (la metà per corrispondenza a strani personaggi che stanno dall’altra parte dell’Oceano), girato come un fuso per suonare le sue canzoni, e poi si è trovata una fidanzata bisiacca che condivide con lui la passione per il vino (“vino” è la parola che pronuncia meglio in italiano, infatti). Ora: “Sul palco sale” sarebbe già da correggere. Il “palco” è un microfono e una sedia posizionata in modo che il cantautore americano guardi la decina di tavolini del locale, e i pochi che bevono una birra seduti ai tavolini guardino, a loro volta, il cantautore americano (il fatto che lo guardino non significa necessariamente che lo ascoltino pure, come dirò). Il cantautore americano attacca una canzone più ritmata (ne fa non più di un paio, in tutta la sera, che si possano definire “più ritmata”). L’inviato speciale de ‘L’eco vercellese’, ‘La gazzetta di Vercelli’ o altra testata simile, dalla sua posizione privilegiata al tavolino di fronte al palco batte il ritmo con le mani. (Ora: non vi danno fastidio come lo danno a me? Andate a un qualsiasi concerto e immediatamente, quando inizia una canzone più ritmata, qualcuno si sentirà in dovere di battere le mani. E sovente al ritmo di Vercelli.) E, accidenti, lo batte controtempo. È agghiacciante. Lui batte il ritmo controtempo per tutta la maledetta canzone più ritmata. Il cantautore americano, che ha girato come un fuso per suonare le sue canzoni, è abituato a questo e altro, e lo lascia fare. Io e Remo ci guardiamo e, come ci fossimo messi d’accordo diciamo: “Dev’essere il ritmo di Vercelli.” Questa è una storia vera, giuro. Accaduta al Caffè della pesa di Vignale Monferrato. Peggio, lì, andò a un texano che ci suonò un sabato sera. Tutti o quasi si facevano gli affari loro, chiacchieravano bevevano e ridevano. E lui suonava imperterrito le sue canzoni, perlopiù inascoltato. Devo dire che apprezzammo molto il suo professionismo. Io sarei sceso dal palco - per “sceso dal palco” vale esattamente quanto detto prima per “sul palco sale” - e avrei sfasciato la chitarra in testa al primo che rideva. Un'altra sera vedemmo un cantautore veronese, in un altro locale ma in condizioni simili, e a momenti sfasciava la chitarra in testa a quelli che facevano casino (il cantautore veronese è incazzosissimo, e anche bello grosso, infatti quasi tutti si zittirono per ascoltarlo - e ne valeva la pena, ovviamente). Questa storiella per raccontare il Caffè della pesa di Vignale Monferrato. Ma poi, non necessariamente quel locale lì. In generale tutti quei posti dove, difesi solo da un microfono e una sedia che guarda gli spettatori, sera dopo sera tanti musicisti suonano la canzone o due davvero belle che han scritto (e nell’intervallo vendono un paio di cd a strani personaggi). Io ne ho visti tanti, di locali. E di musicisti che m’han venduto nell’intervallo il loro cd (anzi, anni fa, la cassetta). Per dire. Insieme a Remo, sempre tragicamente complici in locali-concerti-cantautori americani, siamo andati fino a Londra per sentire una cantautrice di Austin dalla voce leggermente chioccia (voce che adoro, sia chiaro). E siamo andati a Bra, per il concerto di uno di New York che un tempo era stato presentato come il nuovo Dylan (uno dei tanti), per scoprire solo lì che il concerto era annullato. Finendo così in una birreria di Bra con l’unica ascoltatrice del nostro programma radiofonico (che ci disse che voleva tagliarsi i capelli “alla Louise Brooks”, una foggia non proprio diffusa negli ultimi cinquant’anni) e con un suo amico, appena lasciato dalla fidanzata giornalista, che tipicamente pianse nella birra. E siamo andati... Ecco, potrei continuare a lungo. Praticamente solo a Vercelli non siamo mai andati. Terrorizzati dal ritmo di Vercelli.
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