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Due scuole, due pozzi e un infantario

di Ilaria Scala - 3/3/2006

Kanimambo vuol dire Grazie nella lingua locale del Mozambico.

E Kanimambo è il nome dell’associazione che alcuni studenti romani hanno fondato nel 2004 per sostenere il Mozambico, in particolare Maputo e alcuni villaggi circostanti.

Un’associazione piccola, che ci tiene a fare poche cose piccole: due scuole, due pozzi, un infantario. Cose piccolissime, per il mondo di qua. Che però sono enormi per quel mondo lì, dove la malattia migliore che può capitarti è la scabbia e una classe può essere un albero con una lavagna attaccata al tronco.

Michele Samoggia è il presidente di Kanimambo. Ha 21 anni, e quando parla dell’Africa gli si illuminano gli occhi.

“Il prossimo 10 marzo ci vado per la quinta volta.” dice. “La prima è stata nel 2004, per l’inaugurazione della scuola costruita a Maputo con i fondi raccolti nei quattro licei romani Mamiani, Tasso, Virgilio e Visconti. Nell’ottobre 2005 ci siamo tornati per il primo turno di volontariato all’infantario, e siamo entrati un po’ più nella realtà mozambicana. Sai, una cosa è viaggiare in 100 ragazzi, con i cantanti e i giornalisti (a quel viaggio parteciparono anche alcuni artisti romani, Daniele Silvestri, Max Gazzè e Claudio Amendola, ndr), quando ti scorta la polizia o sei con Veltroni o con il sindaco di Maputo. Un’altra cosa è vivere la vita di tutti i giorni di Maputo, andare nei ristoranti e nei locali, sei più a contatto con le persone, ci parli…”

“In che lingua ci parli?”

“Io in spagnolo. Loro parlano correntemente il portoghese… ma ci capiamo, più o meno. Quando c’è la volontà di capirsi…”

Tornati dal primo viaggio, alcuni dei ragazzi hanno fondato l’associazione per continuare i progetti in Mozambico, partendo da un’opera di sensibilizzazione nelle scuole romane.

“Siamo stati alle elementari e nei licei, per trasmettere agli altri ragazzi la passione per l’Africa. Alle elementari andavamo con una favola scritta da noi al ritorno da Maputo, raccontata con dei cartelloni. Nei licei con filmati girati nell’infantario, per raccontare il nostro viaggio laggiù.”

“Hai detto passione?”

Sorride. “Sì. Non riuscivo a trovare un’altra parola. Quando vai in Africa ci vuoi tornare per forza. È una cosa che ti rimane dentro. Non conosco nessuno che è andato in Africa ed è rimasto indifferente.”

“Come è nata l’iniziativa dell’infantario?”

“L’infantario ospita bambini da 0 a 5 anni. E' stato ristrutturato dalla Coop, e i turni di volontariato sono uno dei progetti finanziati da una donazione fatta da Aurelia Sordi al Comune di Roma. Noi abbiamo vinto questo progetto, e così, da settembre a giugno, ogni mese quattro di noi trascorrono 15 giorni all’infantario. Finora abbiamo saltato soltanto dicembre, per motivi di sicurezza. Ci hanno detto che in quel mese cresce un po’ la criminalità.

“Quando siamo all’infantario, il nostro compito è semplicemente quello di far giocare i bambini, dar loro da mangiare, portarli fuori e al mare. Purtroppo gli inservienti del centro non hanno il tempo di fare queste cose. Durante il giorno pensano a pulire e a cucinare, tengono i bambini in una stanza e cercano di controllare che non si facciano male. Quando ci siamo noi, i bambini giocano e si divertono. Dalle parole della direttrice, che è una persona molto aperta, che accoglie volentieri noi, ma anche altri volontari di vari paesi, austriaci, finlandesi… dalle sue parole sembra che questa cosa sia utile. Io spero davvero che lo sia.”

“I bambini all’infantario sono malati?”

“Quasi tutti. Di denutrizione, di scabbia, alcuni avranno anche l’AIDS. In realtà, non si sa se hanno l’AIDS perché non fanno il test. Infatti il nostro prossimo progetto è garantir loro un’assistenza medica, soprattutto per le piccole cose come la scabbia, che si cura in 5 giorni, ma ci vorrebbe un’infermeria, un dottore, la possibilità di isolare i bambini malati… Adesso invece stanno tutti insieme e si contagiano in continuazione.”

“I genitori ci sono?”

“Alcuni ci sono. Ma non possono occuparsi dei figli. A volte vengono, passano una giornata all’infantario e stanno un po’ con loro. Ma poi se ne vanno, perché non saprebbero come tenerli. Pensano che sarebbe inutile portarli via di lì.”

“Vi è capitato di dover dissuadere qualcuno dei ragazzi che voleva partire? Di pensare che non fosse adatto?”

“No, finora no. Chi ci contatta deve fare un corso di formazione sulla cooperazione e lo sviluppo, obbligatorio, per avere un’idea di quello che troverà. Ma poi lì si lavora d’istinto. Certo, abbiamo avuto anche momenti di difficoltà…”

“Per esempio?”

“Per esempio quando un bambino ne colpisce un altro andando in altalena, e quello si spacca la testa… Allora tu ti fiondi per soccorrerlo e sul momento non ci pensi che possa avere l’AIDS. Poi realizzi e ti metti i guanti, ma all’inizio l’istinto vince su tutto. In quei momenti bisognerebbe avere più freddezza, più attenzione. Ma se vedi un bambino che sanguina a terra ti scatta subito l’istinto paterno…

“Quindici giorni sono tanti. In quindici giorni riesce a nascere un bel rapporto con i bambini. Quando vai via ti dicono sempre “A maña”, cioè “A domani”, e quando tu gli dici “No domani non vengo”, i più grandi capiscono e lo fanno capire ai più piccoli. Quando sono andato via per la prima volta siamo stati due ore a baciarli tutti. Loro ridono, ma hanno capito. Non riesci proprio a lasciarli. I bambini africani sono eccezionali. Ti chiamano subito papà. E quando ti chiamano per la prima volta papà è una cosa che ti segna.”

Kanimambo sta crescendo. I ragazzi stanno imparando a muoversi, a gestire i progetti, il numero delle persone interessate e dei volontari aumenta ogni giorno.

“Stiamo cercando di attrezzarci per allargare il numero dei partecipanti. I nuovi volontari dovrebbero fare pratica in un progetto della cooperativa Armadilla qui a Roma, il progetto Arime, che assiste bambini mediorientali talassemici nelle scuole e negli ospedali. I volontari imparerebbero così ad avere a che fare con persone malate, per un periodo, e poi potrebbero partire per Maputo, pagando personalmente il viaggio. Credo che quello che crea attenzione intorno a noi, che attira la gente, è il fatto che siamo ragazzi di massimo 22 anni, che hanno ancora un’ottica molto ingenua… Molti quando sentono parlare di cooperazione temono la corruzione, dicono chissà che fine fanno i soldi… A volte credo sia solo un alibi. Una scusa per non sentirsi in dovere di fare qualcosa.

“Siamo in contatto anche con molte altre associazioni come la nostra, ma per il momento abbiamo deciso di occuparci solo del Mozambico. Anche stando soltanto lì, ci sarebbe da lavorare per generazioni…”

Si sente ingenuo, Michele, ingenuo e istintivo, e usa tanti superlativi. E poi parte, torna, racconta quello che ha visto, e con i suoi colleghi e coetanei sta bene attento a fare cose concrete, piccole, che però cambino davvero la vita delle persone.

E dire che fa parte di quella generazione di cui si parla solo per parlarne male.

 

Kanimambo è nata con l’aiuto della cooperativa Armadilla, che ne ha seguito e appoggiato i primi passi.

La Coop ha ristrutturato l’infantario di Maputo.

La Roma Multiservizi ha costruito la seconda scuola, a Sibacusse. Michele Samoggia ci tiene in particolare a citarla, perché i suoi dipendenti si sono autotassati per portare a termine l’iniziativa.

Kanimambo sta organizzando un concerto gratuito a Roma, per continuare l’opera di sensibilizzazione sui problemi del Mozambico.

 

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