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Storia di un kamikaze

di Alessandro Borgogno - 29/8/2005

E’ la storia di un uomo a cui toccò di difendere la propria città e la propria patria, forse neanche ben consapevole del suo gesto e di ciò che avrebbe significato.

Peccato che a nessuno venga mai in mente oggi, quando le uniche parole che si sentono utilizzare quando qualche iracheno si getta con un camion pieno di esplosivo contro una caserma di soldati stranieri sono "criminale", "pazzo", "esaltato", e altre simili; parole magari spesso vere, ma forse troppo comode, e sicuramente per nulla utili per cercare di capire.

Il nostro kamikaze nacque in Piemonte, nel lontano 1677, e già giovanissimo imparò a lavorare la pietra divenendo un giovanissimo minatore.

Nel luglio del 1703 il re sabaudo, rimasto senza esercito nella sua guerra contro la Francia, lo reclutò in gran fretta assieme ad altri 20 mila giovani piemontesi. Sapeva che la battaglia si sarebbe condotta nei cunicoli scavati intorno a Torino cercando di difendere la città dagli invasori, e per questo, fra i 20 mila nuovi soldati, aveva scelto cinquanta minatori, e lui era tra questi.

I francesi avanzano, espugnano una dopo l'altra tutte le fortezze sabaude, finché nel maggio del 1706 arrivano alle porte di Torino, la cui conquista appare fondamentale per le sorti della guerra.

Verso la mezzanotte del 29 agosto i granatieri francesi riescono ad aprire la strada alle loro truppe attraverso i cunicoli ed entrano così nel primo tratto della galleria; ma qui devono scendere una rampa di scale e trovano una porta sbarrata: è stato lui, che era di guardia a quel settore, a chiuderla e a preparare una mina per far crollare la rampa nel caso il nemico ci si infilasse. Manda via, con gesto eroico, un suo compagno in difficoltà nell’accensione della miccia, e nel momento in cui sente i francesi sfondare la porta, innesca una miccia corta. Forse cerca anche di mettersi in salvo, ma in ogni caso non ci riesce. L'esplosione quasi immediata fa crollare la volta della scala e travolge i francesi. Lo scoppio quindi uccide anche il coraggioso minatore, raggiunto dall'onda d'urto dell'esplosione. Le scale e la galleria superiore crollano seppellendo gli invasori e fermando la loro avanzata. L'assedio si concluderà con la sconfitta dei francesi pochi giorni dopo, il 7 settembre 1706.

Grazie al suo sacrificio la città è salva, i Savoia pure. Il re (Vittorio Amedeo II) farà corrispondere alla vedova del minatore, Maria Pasqual Bonino, un vitalizio di due pani al giorno.

In uno dei siti dedicati alla sua storia, come forse su decine di libri che abbiamo studiato e ristudiato anche noi a scuola, si possono leggere frasi come “L’episodio testimonia un limpido atto di eroismo compiuto da un soldato consapevole del suo dovere, ed è divenuto il simbolo del sacrificio di tutti coloro che difesero la loro patria in quelle memorabili giornate”.

E’ vero, non era un pazzo, non era un criminale e non era un esaltato. Era, ed è, uno dei nostri più limpidi eroi nazionali.

Si chiamava Pietro Micca.

Nacque a Sagliano d’Andorno (ora Sagliano Micca) il 5 marzo 1677 e morì a Torino nel 1706, facendosi saltare in aria insieme ai suoi nemici. 

 

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