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Il Falso Storico

di Alessandro Borgogno - 8/12/2010

Il nuovo romanzo di Umberto Eco è straordinario. Nel senso letterale del termine, perché - come recita il vocabolario - è assolutamente “Non ordinario, che esce dall’ordinario, dal solito, dal normale o dal comune”.

Narra, se di narrazione si può parlare, delle “avventure” di tal Simone Simonini, personaggio quantomeno ambiguo che attraversa con la propria discutibile esistenza i maggiori fatti storici europei dell’ottocento, e li attraversa con un ruolo e una influenza del tutto particolari, quelli dovuti alla sua attività di falsificatore di documenti e diffusore a volte astuto e a volte maldestro di notizie false o manipolate.

Al servizio di volta in volta di governi, sottogoverni, logge massoniche, compagnie di gesuiti, servizi segreti di vari stati, mette la sua mano abile e la sua orribile mancanza di scrupoli in quasi tutti gli avvenimenti chiave del XIX secolo, dalla spedizione dei Mille in Italia all’affaire Dreyfus in Francia.

La prima originalità del racconto sta proprio in questo, nel costringerti a seguire le vicende di un personaggio, protagonista unico e indiscutibile, che racchiude quanto di più negativo e condannabile si possa immaginare. E ancor di più perché non si tratta di un grande criminale che potrebbe anche suscitare e giustificare un certo fascino, ma proprio di uno squallido opportunista per nulla capace di grandi gesti, ma quasi solo di meschinità dalle conseguenze comunque disastrose.

Per raccontarci questa storia già di per sé difficile da raccontare, Eco costruisce un gioco di incastri formato da pezzi di diario del protagonista e di un suo alter-ego in abito talare rivelatore di un probabile sdoppiamento di personalità, i quali si alternano a ricostruire i fatti dei decenni precedenti, a volte contraddicendosi, a volte recuperando la memoria l’uno grazie agli appunti dell’altro. Su questo gioco si inserisce anche un narratore esterno, che è quello che cerca di rimettere insieme questo materiale assai confuso per dargli un qualche tipo di ordine e di logica.

Ma quello che più sorprende, al di là dell’espediente narrativo che è solo un elemento fra i tanti, è il tono generale della narrazione. Analizzata nel suo svolgimento, la trama è straordinariamente ricca di eventi, omicidi, complotti, segreti, tradimenti e pericoli. Ma il modo in cui vengono raccontati non fa per nulla somigliare il romanzo a un thriller storico come ne conosciamo, e tanto meno al folgorante esordio narrativo de Il nome della rosa. Qui sembra tutto più sommesso, raccontato quasi con distacco, senza mai veri colpi di scena o situazioni realmente drammatiche. Attraverso l’artificio dei diari e della ricostruzione al passato l’autore asciuga il racconto di quasi tutti gli elementi più tipicamente (e facilmente) emozionali.

Detto questo, dal momento che Umberto Eco è quello che è, la vera complessità e l’assoluta straordinarietà del romanzo si nasconde sottotraccia, in un altro aspetto che potrebbe anche non essere conosciuto al lettore ma che in realtà non si può ignorare se si vuole davvero stare al gioco. I fatti narrati nel romanzo, dal primo all’ultimo, sono tutti assolutamente veri, storicamente accertati e documentati fin nei minimi dettagli. E così anche i personaggi, non solo quelli che conosciamo anche solo per nome (tipo Ippolito Nievo), ma anche quelli minori così come le comparse. Tutti sono realmente esistiti e tutti hanno fatto e detto le cose che vengono loro attribuite nel romanzo. L’unico personaggio davvero inventato, come avverte lo stesso autore, è il protagonista Simonini (mentre assolutamente autentico è suo nonno, quello dalla di cui attività e dal di cui pensiero sembrano risalire sia le capacità falsificatorie del Simonini nipote sia il suo odio viscerale e immotivato per gli Ebrei). E lo stesso Simonini, seppure inventato, altro non è che l’unione di diversi personaggi realmente esistiti, così come le cose da lui fatte sono senza dubbio avvenute e altrettanto senza dubbio sono state fatte da qualcuno in quegli anni e in quei luoghi.

Difficile immaginare la complessità di stesura e di documentazione che l’autore ha dovuto affrontare per costruire un meccanismo così raffinato e così intellettualmente perverso, e nel leggere il romanzo lo si può solo di tanto in tanto intuire. Ma dal momento che Eco non è soltanto uno studioso dotato di una smisurata conoscenza e di una erudizione a volte inquietante, ma è anche dotato di senso dell’umorismo e piacere del gioco, nel mettere insieme i due aspetti non manca mai di fornire un senso men che profondo anche ai suoi giochi apparentemente più futili. Ecco allora che questo stranissimo romanzo, nel raccontare la costruzione di complotti e di falsi storici, smonta dall’interno la sua stessa struttura, e inietta dosi sempre più potenti di dubbio e di sospetto. Sapientemente, non racconta i particolari tecnici delle falsificazioni, tanto più che spesso e volentieri non si tratta neanche di falsi particolarmente raffinati. Dispiega invece con estrema precisione i meccanismi che trasformano una balla, spesso grossolana, in un’arma potente e distruttiva, anche quando tutti sanno ormai che si tratta di una balla. Ne racconta i percorsi, le successive manipolazioni e gli utilizzi strumentali che funzionano spesso indipendentemente dal fatto che ciò che viene utilizzato sia autentico, dubbio o anche dichiaratamente falso.

Nel rendersi conto che tutto ciò che viene raccontato è in effetti realmente accaduto, ci si accorge quindi di quante volte nel corso della storia alcune falsificazioni conclamate e fin troppo evidenti siano state comunque prese per buone, utilizzate, riciclate e diventate strumenti fondamentali di azioni e avvenimenti che hanno a volte anche cambiato il corso della storia.

Umberto Eco non si butta in imprese di questo genere per caso né per capriccio. E’ evidente come questo argomento, così attentamente dispiegato attraverso le vicende europee dell’ottocento, sia terribilmente attuale non solo per i meccanismi, ma addirittura attraverso quegli stessi falsi documenti la cui nascita e costruzione viene raccontata nel suo, ripetiamo stra-ordinario, romanzo.

E’ senza dubbio il caso dei famigerati Protocolli dei Savi di Sion, che da un determinato momento in poi diventano protagonisti assoluti del racconto. La loro incredibile storia è rintracciabile ovunque (cercare pure su Wikipedia). Si tratta di documenti falsi, falsissimi, nei quali un gruppo di rabbini, riunitisi all’uopo nel suggestivo Cimitero ebraico di Praga, dichiara con minuzia di particolari i mostruosi piani del popolo ebraico e dei suoi capi per corrompere, soggiogare e conquistare il mondo. Detta così sembra una cosa da racconto di Topolino, e invece si tratta di uno degli argomenti maggiormente utilizzati ieri come oggi dall’antisemitismo di tutto il mondo. La cosa apparentemente incredibile (solo apparentemente, perché uno dei piani di lettura del romanzo ci spiega proprio come questo possa accadere) è che detti protocolli sono stati “smascherati” e inoppugnabilmente dimostrati falsi a pochi anni dalla loro uscita. E a quanto pare ciò non è servito a nulla, perché hanno continuato a circolare e ad essere usati in tutte le salse e a tutti i livelli.

L’uso più clamoroso e famoso lo ha senza dubbio perpetrato il Nazismo per giustificare l’odio e la persecuzione contro gli ebrei, ma ancora oggi sono stampati in tutti il mondo come fossero autentici da diverse case editrici, ed utilizzati ampiamente soprattutto in Medio Oriente come prova del complotto ebraico e a giustificazione e incitamento all’odio razziale.

Inutile tentare qui di riassumere le mille implicazioni che questo argomento portato in primo piano da Eco nel suo libro porta con sé, sia per l’interpretazione di molti fatti storici che ci riguardano sia per i suoi collegamenti al presente. Tanto per dirne una attualissima (certamente successiva al concepimento del romanzo e anche a gran parte della sua stesura): sono stati pubblicati da pochissimo i “famosi” Diari di Mussolini, “portati alla luce” da Marcello Dell’Utri, e ancora in questo momento, seppur spesso contestato, il curatore della pubblicazione è in giro per l’Italia a fare conferenze di presentazione dell’opera. Ebbene, i diari sono falsi. Il libro è stato pubblicato con un sottotitolo che allude appena, furbescamente, alla loro dubbia autenticità, ma non è che ci siano dei dubbi, sono sicuramente falsi. Eppure vengono pubblicati, pubblicizzati, presentati in pubblico, discussi, ne vengono citati passi (falsi) nelle occasioni e nei posti più impensati.

Ciò che il romanzo di Eco cerca di portare in luce mi pare sia esattamente questo. La facilità, la pericolosità e l’influenza nefasta, a volte casuale a volte colpevolmente studiata, delle menzogne e delle falsificazioni. A volte con conseguenze terribili. Naturalmente, essendo un tipo non poco geniale, Eco lo fa costruendo a sua volta un falso. Il suo personaggio è un falso, la storia che racconta è un romanzo, cioè per definizione un racconto di fantasia. Lo fa però mettendo insieme fatti e personaggi veri, facendo dire loro ciò che hanno veramente detto e facendo fare loro ciò che hanno veramente fatto. Con lo sforzo inevitabile e a volte notevole che pretende dal lettore (giacché per fortuna, e gliene siamo grati, Eco non presuppone di avere lettori stupidi; cfr. anche, sul tema, il nostro recente editoriale), riesce magistralmente in questo modo a darci tutti gli strumenti proprio per distinguere il falso dal vero, sia nella sua narrazione che nel mondo che ci circonda.

Infligge, in questa sua personale crociata certo molto intellettuale ma per nulla fuori dalle cose importanti che riguardano tutti, alcuni colpi micidiali e benemeriti all’antisemitismo di ogni razza e latitudine e al razzismo in genere. In una serie di pagine irresistibili in apertura di racconto infila una sequenza impressionante e gustosissima di luoghi comuni sui popoli europei che da sola varrebbe la lettura dell’intero romanzo. (E apriamo qui una parentesi per dire che le polemiche, già scatenate su vari fronti, sulle possibili errate interpretazioni che potrebbero fomentare razzismo e discriminazione anziché condannarle, sono, senza mezzi termini, ridicole).

Insomma, se ne potrebbe parlare a lungo, e qui naturalmente non possiamo.

Va detta comunque almeno un’altra cosa importante: il romanzo è difficile, a volte astruso, forse non la sua migliore prova narrativa. Inoltre presuppone grande disponibilità e concentrazione da parte del lettore, non è affatto accomodante e non ha, anche a differenza di altri romanzi dell’autore, nessuno dei tipici accorgimenti utili a rilanciare la storia e a tenere inchiodato il lettore. Nessun vero colpo di scena, nessuna clamorosa rivelazione, e dove ce ne sono sembra che addirittura non vengano appositamente enfatizzate.

Eppure l’ho aperto, ho iniziato a leggere la prima pagina, e non mi sono più fermato fino all’ultima (e ce ne sono cinquecento). Con un tono apparentemente leggero e un po’ straniante, mi ha incatenato e mi ha fatto attraversare quasi un secolo di storia come un osservatore che non poteva fare a meno di guardare ed osservare e cercare di capire. Ho visto passare davanti ai miei occhi i più importanti avvenimenti storici del XIX secolo come se fossi stato lì, anche se con la vista e i sensi un po’ offuscati dall’oppio o dall’assenzio.

Ad essere sinceri, una cosa quasi prodigiosa. Leggevo, mi portavo appresso il libro per riuscire ad andare avanti di qualche pagina anche nelle pause che la giornata ci impone (in attesa dal medico, sulla metro, alla piscina durante gli allenamenti del figliolo) e allo stesso tempo mi chiedevo cosa davvero mi tenesse attaccato al romanzo. E non avevo risposta, né saprei darvela adesso. Probabilmente con la sua assoluta padronanza del segno e del messaggio Eco è riuscito a costruire il suo falso in modo da nascondere davvero gli elementi che poi sono riusciti, a mia insaputa, a catturarmi fino all’ultima pagina e addirittura a farmi dispiacere che il romanzo non proseguisse oltre. E forse è per questo che anche il linguaggio utilizzato è totalmente diverso dagli altri suoi libri. Non sembra affatto ricercato, né contorto, né denso di concetti. E’ invece semplice, lineare, in alcuni momenti lo diresti quasi sciatto. E ovviamente ti accorgi subito che non è così. Si direbbe in realtà che nello smontare il meccanismo di costruzione e diffusione dei falsi che ha deciso di raccontarti abbia voluto al tempo stesso, riuscendoci, nascondere il meccanismo che invece ha utilizzato per attirare e mantenere la tua attenzione.

Non so se sia davvero così, di almeno una cosa però sono assolutamente sicuro: questo diabolico scrittore, semiologo, filosofo, accademico, saggista, linguista e bibliofilo piemontese scrive in modo assolutamente splendido.

 

Il cimitero di Praga, di U. Eco
Bompiani, Milano 2010

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