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Codice della vita italiana... dopo quasi un secolo! di Lisa Della Volpe - 5/3/2010 Per chi ama sfruttare ogni occasione, ogni frammento incastrato tra le migliaia di tessere che compongono il tempo della giornata, è una sorpresa scoprire, alla fine del percorso in treno per andare a lavoro, di aver terminato il libro. L’articolo di Giuseppe Prezzolini del 1921 dal titolo 'Codice della vita italiana' (apparso sulla rivista La Voce, fondata nel 1908) si legge in pochissimo tempo, ma lascia una scia di pensieri che serpeggia nella testa per tutta la giornata e oltre. Una scia vischiosa, appiccicosa. Tanto per cominciare Prezzolini definisce le due figure principali che hanno contribuito a creare la grandezza del genio italico, e non mi riferisco a Garibaldi e a Cavour, ma a due ben precise categorie: il furbo e il fesso. Con ironia e con malcelato disincanto, Prezzolini scrive “Non c’è definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia…dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito… questi è un fesso. […] il fesso in generale è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi”… ci sono i fessi intelligenti e colti, ma non fanno nulla contro i furbi proprio perché fessi e perché incompresi dagli altri fessi. Prezzolini tocca anche il tema dell’arte: gli Italiani apprezzano la grandezza dei quadri dalla superficie della tela! Vorrei sapere, a riguardo, quanti davanti alla Gioconda di Leonardo hanno detto: “Che delusione! Me l’aspettavo più grande!” come se l’arte, prima di essere ammirata, debba atterrire per la sua invadenza, debba avere come prima missione quella di invadere i nostri spazi, o debba avvolgerci con la sua massa di colori e forme. Non basta che un dipinto stia lì a ricordarci quel che siamo!? Tra i peggiori difetti degli Italiani, Prezzolini elenca l’individualismo esagerato e l’abitudine al piccolo inganno. Di sé Prezzolini, amico di Gentili, Papini, Soffici e Salvemini, scrisse di aver urtato molta gente senza volerlo e parecchia altra con intenzione, volendo “chiarir certe idee agli italiani, indicare la loro inferiorità per farli migliori” e “indicare grandezze sconosciute”, e definendosi un “inutile divulgatore”. In un’epoca in cui ci fanno credere che tutto deve essere utile, dai tagli alla scuola al valore punitivo del 5 in condotta e della bocciatura, che sottintende un indefinito e nebuloso concetto meritocratico, riscopriamo con sollievo l’inutilità, vale a dire il “lavoro di cultura”.
G. Prezzolini, 'Codice della
vita italiana', |