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Una bella metafora non basta

di Ilaria Scala - 7/7/2008

No, mi spiace, il Premio Strega di quest'anno non è meritato.

Paolo Giordano ha una bella faccia e modi aggraziati, una formazione scientifica, lo stupore ingenuo dell'esordiente (solo 27 anni!, han tutti gridato al miracolo), ma non è - e forse nemmeno sarà mai - un grande scrittore.

Così come il suo La solitudine dei numeri primi, vittorioso sull'altro favorito Napoli Ferrovia di Ermanno Rea (che non abbiamo letto) non è un grande libro.

Ha un titolo di bellezza fulminante, e trae spunto da una metafora di grande fascino, illustrata in due pagine che sono le sole degne di essere lette: quella che paragona i protagonisti Alice e Mattia - due fanciulli uniti da due diversi dolori infantili, che li accompagneranno per tutta la vita - ai numeri primi gemelli (quelli divisi da un solo numero pari, vicini ma mai congiunti, come il 17 e il 19, il 41 e il 43), destinati, crescendo, ad essere sempre più rari; e come i numeri primi destinati, crescendo, ad essere sempre più lontani.

Nonostante questo spunto illuminato, La solitudine dei numeri primi non è un grande libro proprio per niente: è scritto in modo infantile, con stile monotono, quasi sciatto. Descrive personaggi e situazioni con uniforme piattezza, senza mai un guizzo di personalità, vivacità e arguzia. Procede per inerzia, elencando fatti tragici ed episodi di disagio adolescenziale in un continuum indistinto.

La struttura "a salti" inquadra solo alcuni momenti salienti della vicenda e fa dedurre al lettore i fatti avvenuti tra un capitolo e l'altro. Il "montaggio parallelo" alterna con rigorosa simmetria i capitoli dedicati ad Alice e quelli dedicati a Mattia. Entrambi questi espedienti, che estendono la metafora matematica dai contenuti alla forma, sono ben padroneggiati dall'autore, confermandone la vocazione razionale allo schematismo. Ma non favoriscono l'empatia né l'approfondimento psicologico: i due protagonisti somigliano, infatti, più a due topi da laboratorio che a due esseri umani compiuti. Ciò che, soprattutto, non riesce ad emergere, è il ritratto dell'amicizia ambigua e unica tra due anime che la vita ha messo a dura prova e che, sfiorandosi, avrebbero potuto salvarsi a vicenda. La loro amicizia tutta coincidenze e destino, il libro non riesce a spiegarla né a descriverla, e nemmeno a farcene intuire il valore.

Mattia ed Alice, dopo 300 pagine, restano due monadi annoiate e un po' antipatiche, che si agitano senza scopo dentro due gabbiette separate. E la loro compagnia, dopo 300 pagine, pare durata fin troppo.

 

P. Giordano, La solitudine dei numeri primi
Mondadori, Milano 2008

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