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Le Torri da dentro

di Ilaria Scala - 28/03/2008

Don De Lillo affronta il toro per le corna.

Ne L'uomo che cade ci racconta la caduta delle Torri da dentro le Torri, da dentro gli aerei, da dentro l'anima di un uomo che c'è stato, da dentro il cervello di sua moglie, da dentro gli occhi di suo figlio, da dentro la coppia disgregata, da dentro New York.

Prova addirittura a raccontarcela da dentro i pensieri di uno degli attentatori, uno di quelli con un nome e un cognome - Mohammed Atta, ritraendolo mentre prega, mentre si prepara fisicamente e psicologicamente nei mesi che precedono l'attacco, mentre riflette e filosofeggia sui motivi e gli scopi della sua "elezione a kamikaze". E' questo uno dei temi meno convincenti del romanzo, perchè l'immedesimazione con i kamikaze è un'operazione complessa sia per l'autore che per il lettore (e, forse, se fossimo capaci di immedesimarci con chi ci odia a tal punto da sacrificare la sua stessa vita per farci del male, saremmo già più vicini a sconfiggerlo, quest'odio spaventoso); la vicenda di Atta fatica a raggiungere gli effetti di realismo delle altre narrate in parallelo, che sono invece efficaci nel descrivere un evento straordinario e tutte le sue conseguenze a catena sulle persone coinvolte: lo sbalordimento, lo stordimento, lo straniamento, la dispersione.

La fabula de L'uomo che cade è semplice, ma l'intreccio la frantuma in mille pezzetti di vita, sparsi per le pagine senza apparente logica né linearità temporale, con un montaggio fatto di flashback, salti, approfondimenti e fotografie istantanee dei personaggi, delle loro case, dei quadri appesi al muro. Ogni frammento rappresenta qualcosa di preciso, ma ogni frammento - qualunque cosa rappresenti - ha dentro le Torri.

 

D. De Lillo, L'uomo che cade
Einaudi, Torino 2008

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