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Il vangelo laico di Benni

di Alessandro Borgogno - 14/1/2008

Negli ultimi anni Stefano Benni sembrava aver perso un po’ di colpi. I suoi scritti, sempre brillanti e piacevoli, davano l’impressione di aver imboccato la strada delle repliche lussuose e aggiornate ai tempi ma con poche idee veramente nuove.

Con La Grammatica di Dio invece fa un passo avanti deciso verso una forma e dei risultati nuovi e più profondi. Riprendendo struttura (racconti brevi) e toni de L’ultima lacrima, infila una serie di storie grandi e piccole, esemplari e marginali, significative ed evocative, virando il suo celebre sarcasmo venato di surrealismo verso un’ironia più sottile e dolorosa, guardando la realtà odierna con uno sguardo disincantato ma mai cinico, e mettendoci spesso in modo fulminante nella condizione di non poterci schierare, tanto impalpabili sono diventati i confini fra ciò che è sano e ciò che è malato, ciò che è bene e ciò che è male, e soprattutto riuscendo a trasmettere la sensazione che proprio questa mancanza di ideali e valori chiari sia al fondo della gran parte dei nostri malanni politici e soprattutto sociali. Identifica in questa sua ricerca, e dichiarandolo esplicitamente nel sottotitolo, la solitudine come vero fattore fondante e anche scatenante dei nostri mali, una condizione di disagio inevitabile cui ciascuno risponde a proprio modo, e tutti in modo sbagliato o inefficace. Da chi tenta in tutti i modi di restare solo abbandonando un cane che rimane fedele fino all’inverosimile, dallo scienziato che cerca in tutto il mondo la persona più sola del pianeta senza riuscirci, dai ricchi perversi che scaricano la propria solitudine malata nello sfruttamento dei bambini fino alle più sconcertanti conseguenze, dalla ricerca ascetica di un monaco che deve crollare di fronte alla bellezza che forse proprio Dio gli mette davanti, e così via in un'interminabile galleria di piccole gioie e piccole miserie, tutte tratteggiate con un attenzione acuta e penetrante, a volte con una sola riga a volte anche con una sola parola.

Ha deciso da tempo, Benni, di non farci più solo ridere sulle nostre manie e le nostre idiosincrasie, come faceva ai tempi di Bar Sport; ora affonda la sua penna nelle grande ferite e nei piccoli tagli della nostra esistenza, cercando costantemente di metterci in condizione non di giudicare, ma di sentirci sempre dentro, facenti parte di questo serraglio mostruoso e inquietante, mai esterni o superiori ma sempre e comunque coinvolti, alla De Andrè ("per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti").

E’ così che la sua raccolta diventa un personalissimo vangelo laico fatto di parabole e personaggi esemplari, per nulla divini e molto terreni, in cui possiamo facilmente riconoscere qualcuno o qualcosa che conosciamo o che ci riguarda. Massime vette, a nostro giudizio, di questa trasmissione di disagio e di inquietudine che ci impedisce di schierarci e ci fa sentire al tempo stesso rabbiosi e impotenti, senza darci personaggi buoni e cattivi ma solo mostri per i quali cercare spiegazioni e vie d’uscita, l’Orco, Frate Zitto (da cui la raccolta prende anche il titolo), L’eutanasia del nonnino. Perde qualche colpo verso la fine, dove alcune situazioni e soluzioni richiamano ad un Benni già conosciuto che forse si è espresso meglio in altre circostanze, ma rimane un libro meritevole di lettura e di attenzione, soprattutto per la sua capacità di portare alla luce situazioni che sappiamo esistere, che spesso abbiamo anche davanti agli occhi ma che altrettanto spesso non vediamo o fingiamo di ignorare. In genere per poter sopravvivere alla nostra solitudine.

 

S. Benni, La Grammatica di Dio - Storie di solitudine e allegria
I narratori, Feltrinelli, Milano 2007

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