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Traiettorie noir

di Alessandro Borgogno - 14/5/2007

Nel seguire i percorsi che mi hanno portato alla realizzazione di quel gioco di immagini in movimento di cui parla il nostro Direttore nella sua generosa recensione, dopo avere naturalmente dissezionato, cinematograficamente parlando, quel gioiello del noir italiano datato 1972 che è Milano Calibro 9 di Fernando di Leo, la necessità di approfondire ed esplorare tutte le forme espressive che ruotano intorno a un’idea prima di appropriarmene e rielaborarla mi ha portato anche ai racconti da cui quel film traeva soprattutto la sua ispirazione e le sue atmosfere, più ancora che il titolo.

Sono i primi veri racconti noir che uno scrittore italiano abbia avuto la capacità e, per l’epoca, il coraggio, di proporre ai lettori. Lo scrittore era Giorgio Scerbanenco, nato a Kiev nel 1911 (prima della rivoluzione!) e venuto ancora piccolo in Italia per poi passarci la vita intera e infine a morirci, nel 1969, naturalmente a Milano.

Scerbanenco ha scritto una quantità inverosimile di romanzi e racconti, quasi uno Stephen King nostrano, dagli anni Trenta fino agli anni Sessanta, spaziando con disinvoltura impressionante dal western alla fantascienza, dai romanzi rosa fino ad approdare al giallo ed infine al noir, quello che probabilmente gli ha dato le maggiori soddisfazioni e soprattutto ha dato a tutti noi una serie cospicua di piccoli e grandi capolavori.

Milano Calibro 9 è appunto una delle tante raccolte di questi brevi, alcuni brevissimi racconti, nerissimi e quasi sempre senza via di scampo e senza consolazioni, ambientati in quell’Italia anni '60 che tutti vedevano, e ancora oggi ricordano, come colorata, spensierata e piena di speranze (i favolosi anni 60!).

Scerbanenco scelse di raccontarci che in quella stessa Italia c’erano anche altri colori, molto più lividi e cupi, e un gran numero di destini con nessuna speranza nel futuro ma avvitati nelle spire più nere della natura umana e delle pulsioni più negative e distruttive. Illumina e fotografa con una precisione da entomologo una delinquenza di strada nel momento in cui, mentre Gassman e Trintignan sfrecciavano sulla Lancia Aurelia B24, comincia a farsi sistema e a diventare criminalità professionale, organizzata, lucida e spietata.

Non ci dà scampo nelle sue descrizioni fulminanti e nelle false speranze che ogni tanto sembra accenderci per demolirle un attimo dopo nel compiersi dei destini più tragici e più fatalmente segnati.

E racconta i suoi eroi negativi senza alcun compiacimento né giustificazione, li racconta e basta. Sembrava voler dire all’Italia di allora, e così facendo ce lo dice ancora oggi, “esistono anche queste cose, ragazzi. Succede anche questo. Gli uomini sono anche così, e in tanti lo sono, anche il tuo vicino, anche il figlio della portiera, anche il droghiere sotto casa”.

Con straordinaria coerenza narrativa disegna le sue storie seguendo traiettorie che hanno esattamente la precisione di una pallottola, che va dritta al bersaglio o al limite, se cambia direzione, è perché colpisce qualcosa e viene deviata altrove. Lo fa utilizzando un linguaggio a volte sconcertante, e che senza dubbio lo era quarant’anni fa, di una durezza e di una essenzialità a volte ai limiti della sgradevolezza, riducendo al minimo il numero di vocaboli, per poi ogni tanto aprirsi in brevissime e lancinanti metafore quasi poetiche.

Il modo migliore che ho per dare una sensazione degli effetti della sua narrazione e anche per rendere un degno omaggio ad un grande scrittore sicuramente ancora non abbastanza conosciuto e rinomato, è raccontare una semplice sensazione, una piccolissima cosa illuminante accadutami proprio pochi giorni fa.

Mi erano tornate in mente alcune scene di un film che ero sicuro di aver visto da poco, ma di cui non riuscivo a ricordare né il titolo né in che occasione lo avessi visto. Era sicuramente un film anni '70, viste le ambientazioni, le situazioni e anche i vestiti dei personaggi, e cercavo di ripescare fra i vari titoli che ultimamente sto riguardando, compresi gli storici sceneggiati televisivi di quegli anni che sto racimolando in dvd. Niente da fare. Non riuscivo a ricordarmi. Avevo chiarissime davanti agli occhi alcune scene di un gruppo di delinquenti fuggitivi che si nascondevano in una pineta, una violentissima scena in cui uccidono brutalmente due turisti tedeschi che facevano campeggio libero in un prato, e poi qualcosa come una fuga lungo una strada che poteva essere l’Aurelia o la Salaria. Improvvisamente ho collegato: non l’avevo visto, l’avevo letto. Era uno dei racconti del libro. In nessun film né in niente del genere, solo nel suo racconto. E anche ora, dopo averlo identificato, non saprei ricordare neanche una delle parole scritte, ma vedo perfettamente la scena, e potrei raccontarla esattamente come se la avessi vista al cinema.

 

G. Scerbanenco, Milano Calibro 9
Garzanti, 1969
Ristampa 2000 – Collana Gli Elefanti

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