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Roma spogliata

di Armando Cereoli - 24/10/2006

C'è una Roma che conosciamo poco, in cui ci aggiriamo malvolentieri e con il disagio di chi vuole togliersi di torno il più in fretta possibile. Una Roma lercia, puzzolente di piscio e liquami, degenerata e oltraggiata, che ha le sembianze di mille razze diverse e che risuona degli idiomi di tutto il mondo. E' la Roma dei dintorni di Stazione Termini, dove chiunque cerchi emozioni forti può trovare pane per i propri denti, la Roma dei palazzacci un tempo eleganti e poi decaduti, delle pensioni laide dove si dà convegno ogni sorta di umanità degradata, dalla vecchia battona allo spacciatore.

Claudio Camarca si addentra in questa Roma per ambientarvi un thriller d'impostazione piuttosto convenzionale ma scorretto e disturbatorio quanto basta per tracciare un tratto di stile diverso dalle proposte-clichè degli scaffali delle librerie.

Partendo dal presupposto che il rischio di un attentato di matrice islamica a Roma è molto più reale di quanto non vogliamo pensare, Camarca racconta una storia che non vuole solleticare l'immaginazione del lettore ma raggelarne lo spirito, nella scomoda consapevolezza che la vicenda narrata potrebbe essere drammaticamente verosimile.

Ne nasce una narrazione che rimbalza cronometricamente tra passato a presente, quasi a scandire il ticchettio di un conto alla rovescia che dalle ragioni lontane dell'odio conduce alla sua estrema conseguenza.

In questo alternarsi di tempi si muovono personaggi scuri, tormentati, a volte persino eccessivi nella loro connotazione maledetta, come lo stesso protagonista, un poliziotto decaduto, disfatto dall'alcool e sempre fradicio di una pioggia che sembra non voler smettere mai di cadere. Attorno a lui si cannibalizzano tossici, puttane, spacciatori e la stessa Roma, umida e inospitale come non mai, capace di nascondere, ingannare e tradire. Una Roma che forse mancava da un po' dalla narrativa moderna e che il romano Camarca descrive con drammatica efficacia.

Il finale congeda il lettore con un pizzico di sorpresa non ben sfruttata: la tensione tanto abilmente costruita attraverso la strategia di decolorazione viene disinnescata da un epilogo eccessivamente rapido nel suo svolgersi e per questo un poco semplicistico.

Si perdona il peccatuccio e si può ben archiviare il libro tra i buoni thriller da consigliare ad un amico. Magari uno di quelli stufi di leggere l’ennesima Patricia Cornwell o il solito Dan Brown ma con la voglia di abbandonarsi a qualche suggestione più nostrana.

 

C. Camarca, Nel nome di Dio
Kowalski Editore, Milano 2006

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