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Linee e angoli di Roma

di Alessandro Borgogno - 21/12/2005

Per una di quelle strane coincidenze che in qualche modo devono avere una spiegazione anche se probabilmente non la si troverà mai, in occasione del mio quarantesimo compleanno mi sono arrivati in regalo due libri, da due fonti totalmente separate non in contatto tra loro e lontane anche per storia e rapporti con il sottoscritto, ma straordinariamente simili per idea e contenuto.

Sono Isole – Guida vagabonda di Roma di Marco Lodoli, e 19 di Edoardo Albinati.

Il primo raccoglie un gran numero di articoli scritti dall’autore per La Repubblica, nei quali con rapide e precise pennellate racconta, descrive e segnala luoghi di Roma famosi o poco conosciuti, celeberrimi o introvabili, pescandone sempre un aspetto particolare, una sfumatura minima ma significativa, un angolo nascosto ma prezioso.

Il secondo, con una narrazione leggermente diversa ma poi non così tanto, fa essenzialmente la stessa cosa, raccontando vari viaggi avanti e indietro, senza una vera meta, lungo la linea di uno dei tram più famosi della capitale, quello che fa il tragitto più lungo, il diciannove del titolo.

Pur essendo un appassionato visitatore anche degli angolini più oscuri della mia inesauribile città, dal primo ho già ricavato, ad esempio, almeno tre o quattro segnalazioni di luoghi o “oggetti cittadini” di cui ignoravo totalmente l’esistenza, più altre varie descrizioni di luoghi conosciuti ma guardati da un punto di vista realmente inedito; dal secondo ho tratto parecchie suggestioni, in alcuni casi nuove e in altri rievocative, in quanto spesso riferite anche a zone e quartieri della città che, oltre ad essere da me ben conosciute, hanno rappresentato e rappresentano tuttora luoghi di vita quotidiana e non solo di visita (in particolare Roma sud-est).

Inoltre sono due libri scritti bene, il primo inevitabilmente con lo stile giornalistico del corsivo, che in mezza pagina è comunque sempre costretto ad aprire svolgere e chiudere una storia, quindi anche in alcuni momenti un po’ enfatico, ma sempre con la misura di chi conosce il mezzo che sta utilizzando, il secondo asciugando ulteriormente anche quel poco di retorica che potrebbe nascere da alcune situazioni, e viaggiando davvero senza meta lungo la linea ferrata cittadina, mescolando senza soluzione luoghi, personaggi, ricordi e sensazioni personali e particolari insignificanti, e ottenendo spesso l’invidiabile risultato di farne scaturire altri a chi legge, diversi da quelli dell’autore, ma che ci si mescolerebbero senza alcuno sforzo.

Nelle due letture così simili per contenuto, e in alcuni momenti anche per stile, ho trovato comunque soprattutto un altro punto un comune che mi ha soddisfatto. La mancanza di un vero scopo.

Così come il primo dichiara (anche nel titolo) di voler essere “guida vagabonda”, così anche il secondo vagabonda senza pudore, fra strade, negozi, ricordi, palazzi e situazioni in alcuni casi straordinariamente personali senza voler necessariamente arrivare da qualche parte, identificandosi totalmente con il percorso del tram, che arriva in fondo e riparte, senza avere mai un arrivo vero e proprio.

Ho trovato in queste due letture tracce di un minimalismo che ho scoperto di preferire assai più di quello apparentemente più alto, quello newyorkese per intenderci, anche in quei casi in cui si fa newyorkese pur ambientandosi in altri luoghi. Vi ho trovato, rispetto a quello, una differenza sostanziale. Qui non ci sono tesi da dimostrare, non ci sono “spaccati di società” da far emergere, non c’è pretesa di analisi sociale né di ricerca di un senso e di uno scopo nelle azioni quotidiane di ciascuno se non il senso e lo scopo che conosciamo già tutti perché sono gli stessi che regolano i nostri gesti quotidiani. Non si tratta di identificarsi, si tratta semplicemente di essere. Non si tratta di dimostrare alcunché, ma semplicemente di vivere le cose, e in questo caso anche di vivere la città.

Ecco, la città. Credo che nel determinare queste direzioni la città finisca per essere fondamentale. Forse a New York, come probabilmente anche a Milano, c’è sempre bisogno di trovare un senso alle cose che accadono, ed è vero che certa letteratura forse aiuta a cercarlo, o almeno riesce ad illuderci di poterlo fare, ma è sicuramente vero che quest’altro genere di letteratura, che trovo molto romana, forse non aiuta a dare né sensi né significati, ma sicuramente aiuta a vivere davvero le cose.

Chissà, forse a chi vive a Roma viene più facile pensare di non avere da dimostrare niente a nessuno. O magari ancora più semplicemente non gliene viene voglia, bastandogli e avanzandogli quello che ha intorno.

Del resto, come si potrebbe dargli torto? Come diceva Fellini : “Roma è sempre uno spettacolo, e anche i romani ogni tanto dicono ‘annamo a vede' Roma…’”

 

M. Lodoli, Isole. Guida vagabonda di Roma
Einaudi - I coralli – Torino, 2005

E. Albinati, 19
Mondadori - Piccola biblioteca Oscar - Milano, 2001

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