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Il pendolo di Leonardo

di Alessandro Borgogno - 5/11/2005

Ebbene sì. Ho letto Il Codice Da Vinci.

Ho ritenuto troppo snob tenermi così accuratamente lontano da un fenomeno letterario del genere, e poi, diciamo la verità, era assurdo che io non leggessi una qualunque cosa che riguardasse Leonardo, anche se Leonardo ci fosse entrato poco o nulla.

Così, abbastanza fuori tempo massimo rispetto all’esplosione del fenomeno, l’ho letto.

Prima considerazione: l’ho iniziato e finito in tre giorni.

Seconda considerazione: mi sono divertito moltissimo.

Direi che per dare diritto di esistenza ad un libro sarebbe già sufficiente, ma non mi sottraggo ad altre considerazioni più articolate, quindi proseguo.

Non è un romanzo scritto particolarmente bene, direi che Brown si possa classificare abbastanza serenamente come uno scrittore mediocre.

Però quando qualcuno, mediocre o no, azzecca il libro dell’anno bisogna pur riconoscerlo. Il racconto scivola via senza intoppi, ha la giusta suspense, spruzza la giusta dose di elementi storici, artistici, esoterici e complottistici che senza alcun ombra di dubbio funziona.

Non che abbia niente di veramente originale, ma sicuramente l'autore è riuscito a fare un frullato di mille cose già viste o sentite azzeccando le dosi in modo inconfutabile.

A questo va aggiunto che molti lettori avranno sentito parlare di alcune opere di Leonardo e di altri argomenti storici e/o artistici per la prima volta nella loro vita, e questo è già di per sé (almeno a miei occhi) un merito incalcolabile.

Certo il libro non è particolarmente approfondito, e molto mi sarebbe piaciuto vederlo scendere ben più in dettaglio su molti aspetti della pittura, della simbologia, della religione, dell’architettura che vengono appena sfiorati. In realtà una storia assai simile (straordinari luoghi parigini compresi) l’aveva già raccontata Umberto Eco ne Il Pendolo di Focault, ben più originale e ben più denso di suggestioni, ma certo anche molto più faticoso sia come lettura che come immedesimazione.

Probabilmente il difetto peggiore del Codice Da Vinci, al di là di tutto, è di essere un po’ troppo superficiale, ma sempre di un romanzo americano si tratta… Come diceva il grandissimo Gaber, “GUAI se manca quel po’ di superficialità necessaria… sotto sotto c’è sempre il western: anche nei manicomi riescono a metterci gli indiani!

Allo stesso modo, però, il romanzo riesce a farti scorrere via pagine e pagine tenendoti comunque attento.

Ultima considerazione: le polemiche sulla veridicità delle interpretazioni riportate, le scomuniche della Chiesa, decine di libri impegnati a confutare le tesi e le presunte testimonianze storiche messe insieme da Brown sono la cosa più ridicola di tutto il fenomeno “Codice” (nonché un ottimo sistema per arricchirsi grazie alla buona idea di qualcun altro).

Pretendere precisione storica da un fantathriller è come contestare Dumbo di Disney perché c’è un elefante che vola. L’unico effetto che queste polemiche possono ottenere, proprio in memoria del Pendolo di Eco, è cominciare a farci sospettare che se c’è chi se la prende tanto allora fra tutte le imprecisioni e le forzature presenti nel romanzo qualcosa di vero forse c’è...

In questo senso un autentico merito il romanzo ce l’ha, e potrei azzardare che forse è il vero senso di tutto il libro: non esiste mai una sola storia, non esiste mai un modo univoco di interpretare qualcosa, sia esso un quadro, una poesia o una costruzione architettonica, non c’è mai un significato unico e immutabile per ciò che ci circonda.

In sostanza: non esiste una verità assoluta.

Chissà… forse è questo il concetto che a molti non è andato giù…

 

D. Brown, Il Codice da Vinci
Edizione speciale illustrata Mondadori - Omnibus - Milano, 2004

U. Eco, Il Pendolo di Foucault
Bompiani - Milano, 1988

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