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Storie sulla nostra storia di Ilaria Scala - 15/5/2005 In principio furono I soliti ignoti (M. Monicelli, 1958). Nel corso degli anni, la favola dei ladri imbranati, che invece di arricchirsi con un colpo "scientifico" inanellano una goffaggine dietro l'altra e finiscono per rubare solo un piatto di pasta e ceci, è stata più volte imitata, specialmente dagli Americani. L'imitazione più illustre: quella di Woody Allen in Small Time Crooks (Criminali da strapazzo, 2000). La più riuscita: quella di Palookaville, pellicola indipendente di Alan Taylor, presentata al Sundance Festival nel 1995. Quel film, in cui tre ladruncoli spiantati irrompono per sbaglio in una pasticceria, oltre ad essere ispirato all'opera di Monicelli, conteneva nei titoli una curiosa dedica a Italo Calvino. Che c'entra Calvino?, pensai quando vidi Palookaville tanti anni fa, e ho continuato a pensarlo finché non ho scoperto uno dei più graziosi racconti dello scrittore genovese, intitolato "Furto in una pasticceria", appunto. La scena della pasticceria di Palookaville lo cita praticamente alla lettera.
Non si può recensire un libro come I racconti così, tutto insieme, in un articolo solo. Viene naturale proporre un assaggio qua uno là, cominciando dal racconto che più ci ha colpito, per scorrere poi i più vivi nella mente, magari raggruppandoli per generi, e tentando di tirar fuori un giudizio complessivo, un commento critico alla luce degli anni che sono passati da quando la raccolta fu pubblicata per la prima volta, nel 1954 (e poi, nell'attuale versione, nel '64 - i racconti più recenti risalgono al '58). C'è la grazia colorita di "Furto in una pasticceria", dunque, l'ironia amara delle storie urbane di Marcovaldo, l'ingenuità di alcuni racconti di guerra, in cui Calvino racconta il gioco macabro di un teatrino di marionette che si danno la morte e la vita alternando il ghigno e l'ardore, la tragedia e la beffa.. A volte le storie son troppo brevi per catturarci, o troppo fredde per restarci addosso. Ma altre volte rapiscono e prendono alla gola senza effetti speciali: per la scrittura limpida, per i dialoghi serrati e scarni, in cui poche parole dall'eco dialettale bastano a descrivere un personaggio o un'atmosfera. Come in "Ultimo venne il corvo", che concentra in 6 pagine la tensione di un thriller. O in "L'entrata in guerra", che ci soffia addosso l'aria di quel 10 giugno 1940 e ce ne fa sentire tutta la pesantezza, l'afa, il livore, attraverso lo sguardo di chi non ha ancora visto, e non può immaginare, cosa lo aspetta. Leggiamo ad esempio il capoverso finale, pensiamo a tutto quello che è successo dopo, ai giochi e alle guerre di oggi, e prendiamoci il tempo di rabbrividire un poco: "Io l'avevo appena visto. Mi colpì quant'era giovane: un ragazzo, un ragazzo pareva, sano come un pesce, con quella collottola rapata, la pelle tesa e abbronzata, lo sguardo scintillante di gioia ansiosa: c'era la guerra, la guerra fatta da lui, e lui era in macchina con i generali; aveva una divisa nuova, passava le giornate più attive e trafelate, traversava in corsa i paesi riconosciuto dalla gente, in quelle sere estive. E come in un gioco, cercava solo la complicità degli altri, poca cosa, tanto che quasi s'era tentati di concedergliela, per non guastargli la festa, tanto che quasi si sentiva una punta di rimorso, a sapersi più adulti di lui, a non stare al gioco."
I. Calvino, I racconti
[1954] Per la scheda di Small
Time Crooks su imdb:
www.imdb.com/title/tt0196216/ |