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Cronache sagge del menestrello folk

di Beppe Giuliano - 20/2/2005

"Sul serio, io non ero niente di più di quello che ero, un musicista folk che aveva scrutato in una nebbia grigia con occhi accecati di lacrime e aveva composto canzoni fluttuanti in un alone luminoso."

Ecco: fluttuante in un alone luminoso. Esattamente la sensazione provata quando vidi Bob Dylan dal vivo per la prima volta (all'inizio degli anni ottanta, a Milano stadio di San Siro, seconda data italiana di un tour non particolarmente felice iniziato all'Arena di Verona). Lui fluttuava in un alone luminoso. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, lo fissavo con gli occhi sbarrati, secchi e dolenti, privati della lacrimazione e comunque m'era impossibile chiuderli. L'ho anche scritto, in una piccola cosa per un bollettino di letture e scritture che viaggiava per posta elettronica:

"Mi immagino che ogni spettatore, folle o meno, fino all’ultimo concerto sarà lì a chiedersi per quale magia (e solo quando lo vedi in concerto te ne rendi conto) lui non tocca mai per terra, assolutamente. Bob Dylan sarà sempre lì, fino alla fine, leggermente sollevato, minuscolo e avvizzito, eppure ancora sospeso sopra il palco."

E ho premesso, in quella piccola cosa del dicembre 2002 (1):

"A scrivere ancora qualcosa su Dylan si rischia almeno di essere banali, o di prepararne il 'coccodrillo'"

Perché ne sono convinto: ogni giornale ha nel cassetto il suo coccodrillo, e chi l'ha preparato è convinto che lo userà presto, magari dopo che le agenzie avranno battuta la notizia della sua morte improvvisa sul sedile posteriore di una lunga cadillac bianca. (2)

Intanto, di Dylan ha scritto lui stesso, o meglio ne sta scrivendo perché quello che è uscito per Feltrinelli è il volume 1 delle Chronicles.

Di sé ha scritto in termini non banali, sufficientemente vaghi anche quando è molto dettagliato, senza seguire alcun ordine almeno apparente. Il libro si compone di cinque capitoli:

1. Annotare lo spartito

2. La terra perduta

3. Nuovo mattino

4. Oh, pietà

5. Un fiume di ghiaccio

Il primo, il secondo e l'ultimo capitolo sono dedicati ai primi tempi niuiorchesi del Dylan musicista folk (il libro, quando tratta di musica, tratta quasi esclusivamente di folk). Il terzo capitolo tratta del periodo alla fine degli anni sessanta in cui Bob cercava soprattutto di sfuggire alla propria notorietà, o meglio all'essere considerato "autentica espressione della turbata e impegnata coscienza della Giovane America." (3)

Il quarto descrive, molto approfonditamente, l'incisione di Oh Mercy, disco della metà anni ottanta registrato a New Orleans per la produzione di Daniel Lanois (c'è da sperare che in un prossimo volume, come qui si spiega la nascita di Political World, qualcosa ci venga detto - che so - di Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again).

Delle sue canzoni Dylan ci dice poco, e sembra lo faccia per caso. Delle persone incrociate ancora meno, e sempre parlandone bene. Delle sue donne, poi, ci dice quasi niente: due mogli vengono appena citate senza essere nominate, Joan Baez compare a pagina 226 e Suze Rotolo oltre, e di entrambe si rileva soprattutto la carica erotica ("Aveva qualcosa di assassino nell'aspetto, lucidi capelli neri che le scendevano fino alle agili curve dei fianchi, lunghe sopracciglia un po' sollevate, non era esattamente Raggedy Ann, la bambola di pezza. Mi bastava vederla per sentirmi eccitato.", si dice della 'Regina dei folksinger'). Nel libro c'è parecchia saggezza, peraltro, e mi pare ben scritto (e mal tradotto).

Si attendono i volumi seguenti.

 

(1) Ultimi pensieri su Bob Dylan, si chiamava.

(2) Long White Cadillac è una canzone (molto bella) di Dave Alvin, sulla morte di Hank Williams.

(3) Motivazione della consegna di un dottorato honoris causa a Princeton.

 

B. Dylan, Chronicles - volume 1
Feltrinelli, Milano 2005

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