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Pulci, peste e telefoni cellulari di Ilaria Scala - 1/1/2005 Fred Vargas è una scrittrice curiosa. Inizi a leggere il suo ultimo libro, Parti in fretta e non tornare, e ti sembra ambientato nell'Ottocento. Parla di banditori, peste, nobili decaduti, figli illegittimi, donne di strada che si trasformano in fedeli governanti. Finché, a pagina 82, compare un telefono cellulare. E tu ti rendi conto di star leggendo una storia di adesso, una storia dei nostri anni terribili, in cui il banditore, la peste e i nobili decaduti convivono con l'inquietudine tutta moderna di un commissario di polizia single e traditore, che fa scappare la donna della sua vita e non riesce ad imparare i nomi dei suoi collaboratori. La scrittura è lieve, ordinata e coinvolgente. L'atmosfera è più cupa e pessimista che nel precedente Chi è morto alzi la mano (Einaudi, 2002), che al mistero del giallo univa la freschezza di tre giovani detective improvvisati, amici per la pelle e un po' pasticcioni. Più accurata e dolente di Pennac, la Vargas si ispira all'inventore della saga Malaussène senza però riuscire ad eguagliarne la fantasia surreale. In quest'ultima opera, infatti, la trama è sfilacciata e un po' forzata nelle conclusioni, e l'assurdo non riesce a sublimarsi in una follia credibile. Chi sarà l'untore-serial killer che semina topi e pulci pestigene in alcuni appartamenti di Parigi, con lo scopo di "rilanciare" la morte nera, citando intanto testi medievali? La verità è truce, complicata e imprevedibile. Il commissario ci arriva, alfine, grazie a una serie di "illuminazioni" (nel senso letterale del termine) più fiabesche che razionali. Il lettore, invece, soltanto leggendo i capitoli uno di seguito all'altro, non avrebbe potuto arrivarci mai. E per questo ci resta malissimo. F. Vargas, Parti in fretta
e non tornare
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