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Caro compagno Presidente

di Alessandro Borgogno - 12/5/2006

Caro compagno Presidente, non mi è mai passato per la mente di scrivere ad un Presidente della Repubblica, ma a Lei sento di poterlo fare.

Uso la parola compagno senza alcun intento né ironico né provocatorio né ideologico ma proprio per il suo significato semplice e profondo troppe volte snaturato e pretestuosamente volgarizzato da tante parti, sia a destra che a sinistra. Compagno di viaggio, compagno di passioni, compagno di valori. Un significato, come vorrebbe e vuole la lingua italiana, molto meno politico o ideologico e molto più umano, molto più legato ai rapporti fra gli uomini, alla loro condivisione di percorsi, al rispetto delle persone e delle loro storie che sono, nei fatti, la nostra storia comune.

Non le nascondo la mia commozione. Non soltanto per l’evidente portata storica della sua nomina alla responsabilità di garante della Costituzione e dell’unità del Paese, ma anche per la convinzione e la speranza che proprio il suo futuro operato, coerente come lo è stato fino ad oggi, sarà la prova definitiva e mai più confutabile di quanto proprio gli uomini con storie e percorsi come i suoi siano profondamente democratici, infinitamente rispettosi dei valori istituzionali e costituzionali che nonostante tutto ancora oggi continuano a tenere in piedi, faticosamente e a volte stoicamente, il nostro senso di appartenenza ad una unica nazione e ad un unico senso civico.

Nessuno meglio di lei potrà provare a tutti che chi ha una storia “comunista” alle spalle, in Italia, è e sarà sempre una persona profondamente democratica e profondamente rispettosa dei diritti e delle esigenze di tutti.

Nessuno meglio di lei potrà dimostrare, come ha dimostrato in più di sessant’anni di vita politica, che coerenza non significa non cambiare mai idea, non commettere errori o non ripensare anche profondamente alle proprie scelte, ma significa semplicemente fare tutto questo senza mai attaccare od intaccare il sistema di valori e di rispetto dell’altro che tiene in piedi tutte le democrazie, significa seguire un percorso fatto di svolte, di salite, di cambi di marcia e perfino di marce indietro, ma senza mai uscire fuori dalla strada, senza mai prendere scorciatoie tagliando per i campi o andando contromano, rispettando sempre rigorosamente ogni cartello stradale e ogni virgola del codice della strada.

E per i motivi appena espressi le dirò, con altrettanta sincerità, che nella sua lunga storia politica io non sono stato sempre d’accordo con le sue posizioni e con le sue scelte, ma proprio per gli stessi motivi non ho mai potuto trovare nulla da ridire sul suo comportamento morale e sulla onestà e legittimità di quelle stesse scelte.

Lei fa parte di quel gruppo di dirigenti del Partito Comunista Italiano che ha contribuito in modo determinante a far sì che quel partito fosse diverso, positivamente, da qualsiasi altro partito comunista del mondo.

In un’epoca dove il servilismo verso le grandi potenze ci porta a posizioni con conseguenze a volte davvero tragiche, Lei rappresenta parte di quel gruppo di dirigenti del Partito Comunista Italiano che andava a Mosca a discutere e a trattare con il potere del Cremlino senza mai abbassare la testa e senza mai chinare la schiena.

Lei, negli apparentemente lontanissimi anni Settanta, ha messo la sua firma e il suo volto sugli atti con i quali per la prima volta il PCI si distanziava dall’Unione Sovietica.

E sempre Lei fu anche il primo dirigente comunista ad essere invitato ufficialmente negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze politiche, un avvenimento semplice e apparentemente modesto, in linea con il suo stile, ma di portata storica enorme.

Lei testimonia meglio di chiunque altro che la politica e le ideologie sono niente senza le persone che le incarnano, le fanno vivere, le fanno crescere e le trasformano.

Una frase semplice e per questo emozionante di un famoso monologo di Giorgio Gaber recita:

Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona”.

Lei era proprio lì, a fianco di Berlinguer, come suo compagno, appunto, di viaggio, di valori e anche spesso di discussioni e di diversità di opinioni e di posizioni. Per questo la stessa frase potrebbe benissimo essere parafrasata per lei, senza alcuna retorica ma nella sua profonda e per nulla banale semplicità:

Qualcuno era comunista perché Napolitano era una brava persona.

Lei, meglio e più di chiunque altro, potrà contribuire con la sua stessa persona a rimettere una volta per tutte un pezzo di storia del nostro paese e del nostro continente nella sua carreggiata più giusta e corretta. Potrà contribuire definitivamente a ridare una dimensione adeguata a tutte le chiacchiere superficiali e volgari che negli ultimi anni sono state vomitate sulla storia della sinistra italiana, e che hanno impedito e ci impediscono tuttora di discutere e riflettere anche sui tanti errori in modo sereno e civile.

Lei, meglio e più di chiunque altro, potrà trasmettere, anche in caso di una sua riforma, il rispetto dovuto ad una Costituzione che impropriamente si continua a definire vecchia ma che palesemente non è vecchia affatto visto come continua a resistere, solida e bene in piedi, agli attacchi e perfino alle cannonate che in questi anni le sono state inferte con i comportamenti, con le scelte politiche, con le bordate legislative.

In queste ore molti si affannano chi ad augurarsi e chi a dirsi certo che Lei sarà “Il presidente di tutti gli italiani”. Questa è una questione che può porre e porsi soltanto chi non conosce lei, non conosce la preziosa architettura delle nostre istituzioni e non conosce la storia d’Italia.

Lei proviene, da protagonista, da quella parte d’Italia che l’ha rifondata nei valori della libertà e della democrazia. Da quella parte di Italia che ha combattuto e ha sacrificato migliaia di vite per darci questa democrazia che quotidianamente disprezziamo con troppa disinvoltura.

Lei potrà davvero essere “garante dell’Unità del paese”, testimoniando con la sua stessa storia i valori e la rettitudine di chi l’unità d’Italia l’ha cercata e voluta, lottando e morendo. Servirà, in quell’altra inqualificabile gara cui si assiste da anni nel parificare i morti di tutte le parti, un presidente come lei che testimoni, con la sua sola esistenza, che non è il rispetto per i morti di qualsiasi parte che è in discussione, ma che è sempre stato e sempre sarà incolmabile il solco che separa chi ha lottato ed è morto per la libertà di tutti da chi ha lottato ed è morto cercando di togliere la libertà a tutti.

E gioverà anche ricordare, per tutti quelli che in questi anni si sono colpevolmente e strumentalmente esercitati ad inventare divisioni anche sul rispetto e la considerazione della sua parte politica nei confronti delle forze armate e di sicurezza, che il SAP, il sindacato di polizia, ancora oggi la ricorda come il miglior Ministro degli Interni che abbia mai messo piede al Viminale.

Infine, caro compagno Presidente, Lei è anche napoletano. E nessuno meglio di lei, persona estremamente colta, infinitamente corretta ed educata tanto da essere spesso definito “anglosassone”, potrà anche togliere forza ai mille stereotipi negativi e cialtroni che ancora oggi imperversano contro i napoletani e contro i meridionali tutti. Chissà se è un caso che fra i riconoscimenti di stima pressoché unanimi di tutte le forze politiche, è proprio da chi su questi stereotipi e sulla divisione dell’Italia ha costruito e costruisce le sue scellerate fortune politiche che sono arrivate le uniche misere parole e gli unici miseri atti realmente contrari al riconoscimento istituzionale che invece ha meritatamente ottenuto.

Senza alcun timore della retorica, che quando non è falsa non ha niente di negativo, in questo momento il mio pensiero va alle tante persone morte per la libertà durante la guerra, e anche tutte quelle che successivamente hanno continuato a vivere in quegli ideali, lottando per la giustizia, per i diritti dei lavoratori di cui oggi tutti noi anche se a fatica ancora godiamo, per l’uguaglianza di tutti gli italiani, per il riconoscimento democratico di quella parte che ha sempre contribuito in misura fondamentale alla costruzione e alla tenuta stessa della nostra democrazia, e che giunti al 2006 ormai per vecchiaia o per altri mille motivi non sono più fra noi.

Vorrei che tutti questi potessero anche solo per pochi secondi risvegliarsi dal loro sonno eterno per poter far sapere loro almeno questo:

Signori, non solo come vuole la Costituzione il Presidente della Repubblica è uno di Voi, ma da oggi uno di Voi è il Presidente della Repubblica.

Caro compagno Presidente, le faccio i miei migliori auguri di buon lavoro con profonda, sincera e intensa commozione.

 

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