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Attraverso le stanze dell'anima

di Alessandro Borgogno - 18/12/2007

A Firenze, fra i mille musei e luoghi d’arte e di storia che ne fanno una delle più straordinarie città del mondo, ce n'è uno che è, a sua volta, uno dei più straordinari luoghi del mondo.

E’ il Museo, Chiesa e Convento di San Marco, concentrato davvero unico di storia, architettura e pittura. Il complesso monumentale è un capolavoro di Michelozzo, chiesa e convento, tuttora comunità domenicana, che ospitarono uno degli ordini più importanti e potenti del quattrocento, e fra questi la grandezza storica e i

foto di A. Borgogno

sanguinosi eccessi di Girolamo Savonarola.

Ma soprattutto vi risiedette a lungo e sulle sue mura a lungo dipinse un altro frate, Giovanni da Fiesole al secolo Guido di Pietro Trosini, meglio conosciuto con il nome di Fra Angelico e ancor più di Beato Angelico.  Uno dei più sublimi pittori di tutti i tempi.

Il fatto che il museo di San Marco ospiti la più grande collezione dei suoi dipinti basterebbe già da solo a dichiararlo luogo irrinunciabile per una visita, ma quello che neanche il visitatore più navigato può davvero immaginare è ciò che lo aspetta nell’ala del convento dove sono ancora oggi intatte la biblioteca e le celle dei monaci.

Passando per il piccolo refettorio, sulla cui parete brilla una splendida Ultima Cena del Ghirlandaio che già da sola traccia un solco nella nostra percezione dell’immagine sacra, si sale per una scala che porta al primo piano, alle celle.

Una svolta a destra della rampa ci presenta all’improvviso una parete, poco più in alto e già dentro l’enorme spazio conventuale, interamente riempita da una delle più belle e struggenti Annunciazioni che l’intera storia dell’arte e della spiritualità possa vantare.

Riempie immediatamente lo sguardo e l’animo di chi guarda. Ferma il respiro. Un solo colpo d’occhio e lì si può capire, senza necessità di altri appigli, la grandezza artistica del Beato Angelico.

In una sola immagine si presentano in un colpo allo sguardo compostezza dei gesti, semplicità di composizione, linee di forza e di fuga che animano e giustificano le azioni, spiritualità del significato delle forme, bellezza incomparabile dei colori e dei particolari, le ali variopinte dell’angelo, lo sguardo tenerissimo della Vergine e il suo atteggiamento composto e consapevole, la perfezione delle sfumature e il congelamento dei movimenti nell’atto che rappresenta l’inizio, il momento della scelta, il vero unico intervento esterno della divinità in tutta la storia successiva e l’altrettanto unica e vera assunzione di responsabilità, immensa e irreversibile, da parte di Maria.

Ci si può fermare e anche piangere, se ce la si fa, e sarebbe la cosa più naturale del mondo.

Perché se esiste un’immagine al mondo la cui bellezza possa commuovere fino alle lacrime, è senz’altro questa.

Quando ci riprendiamo, possiamo salire gli ultimi gradini ed entrare davvero anche fisicamente nell’ambiente che ospita questo capolavoro, e che ne nasconde altri in quantità e qualità inimmaginabili.

L’ambiente è enorme, e il nostro sguardo può volare, sopra la testa, lungo un sottotetto a grandi travi di legno che ci riporta immediatamente ad atmosfere rinascimentali. Al di sotto però non c’è un salone altrettanto immenso, perché dei muri, assai più bassi del tetto ma abbastanza da non permettere allo sguardo di andare ovunque, dividono lo spazio in due lunghi corridoi che sfuggono in prospettiva alla nostra destra e davanti a noi. In fondo se ne sviluppa un terzo. Lungo i corridoi, da entrambi i lati, si aprono piccole porte. Al di là di ogni porta una piccola cella. Ci aspetta un viaggio unico al mondo, perché le visiteremo tutte, una per una.

E non lo faremo per un vezzo o per un gioco. Lo faremo perché dentro ogni cella, su una delle pareti, c’è un piccolo affresco. Tutti del Beato Frate Angelico. Tutti bellissimi. Ognuno diverso dall’altro anche quando ritraggono, come accade più volte, lo stesso episodio della vita di Gesù.

Ogni episodio si presenta come la rappresentazione di un aspetto simbolico e al tempo stesso fisico di un sentimento e dell’azione che ad esso si lega, con semplicità e complessità insieme. Annunciazione, natività, predicazioni, miracoli, condanna, flagellazione, crocifissione, resurrezione, trasfigurazione, e poi di nuovo crocifissione, e poi di nuovo natività, in un ciclo ricombinabile a piacere e privo di soluzione di continuità.

Difficile descrivere la sensazione che si prova ad entrare ogni volta nella piccola apertura che rappresenta la porta, cercare con lo sguardo la parete dipinta, e scoprire quale episodio, con quali elementi, con quali personaggi ritratti in quale modo particolare, ci aspetta per essere guardato.

Le celle sono quarantaquattro, e tutte e quarantaquattro con una parete dipinta, e per quarantaquattro volte ci aspetta una scoperta. E potremmo anche tornare indietro e ripetere il viaggio all’infinito, perché il dover ogni volta entrare, isolarci dal resto, e guardare il singolo dipinto nel raccoglimento della cella ci costringe a perdere ogni volta i riferimenti precedenti, quasi dimenticare quello che abbiamo visto poco prima. E’ praticamente l’effetto opposto della Cappella Sistina. Là l’esplosione contemporanea e inebriante di capolavori che si svelano tutti insieme nello stesso istante, si parlano, comunicano e rimbalzano senza permettere al nostro sguardo di riposarsi mai, qui invece un rituale raccoglimento, ripetuto e solitario, quasi una imposizione di concentrazione ogni volta replicata ma ogni volta unica e che ci lascia ogni volta da soli di fronte ad ogni singolo pezzo di un capolavoro unico e indivisibile, ma composto da tanti momenti a loro volta unici ma non estraibili dal tutto.

Difficile davvero descrivere in altro modo e riportare anche solo in parte la sensazione che questo viaggio trasmette al visitatore stupefatto. Via via che si va avanti, e che si ripete il rituale di affacciarsi, entrare, alzare lo sguardo, guardare, capire, contemplare, cercare un gesto, riconoscere qualcosa, sentirsi soddisfatti, uscire, cercare la porta successiva, rientrare, ricominciare, ecco che si fa strada la sensazione di viaggiare non solo nella storia, nell’arte, nell’architettura, ma anche dentro noi stessi.

E’ lì, e solo lì, attraversando in silenzio quei corridoi e affacciandosi in quelle piccole stanze, che possiamo forse intuire come lo spirito e l’animo umano, oltre ogni aspetto dottrinale e teologico, sia composto da mille aspetti e mille tessere, ognuna precisa e distinguibile e insieme legata indissolubilmente alle altre.

Come se il convento di San Marco con la sua struttura e i suoi capolavori riuscisse non solo a rappresentare il nostro inconscio, la nostra anima oltre che in senso religioso anche nel senso più ampio di animo umano, ma anche a farci entrare dentro di esso, e farci viaggiare al suo interno, nelle sue singole componenti, nei singoli aspetti della personalità umana, la rabbia, il dolore, l’attesa, la paura, la scelta, l’estasi, la gioia e via all’infinito, ognuno distinto nel suo sentimento particolare e ognuno indivisibile dall’insieme che rappresenta il nostro intero essere.

 

Firenze, Museo e Convento di San Marco
Piazza San Marco, 3 - Direzione Via G. La Pira, 1
Tel. +39 055 2388-608 Fax +39 055 2388-704

http://www.polomuseale.firenze.it/musei/sanmarco/
http://www.firenzemusei.it/sanmarco/

 

Nel 2010, questo articolo è stato inserito nella raccolta Attraverso le forme, che potete trovare qui.

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