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Folgorazioni sulla via di Damasco

di Alessandro Borgogno - 30/11/2006

Si è consumata nei giorni scorsi una delle tante fortune che toccano a noi Romani.

La possibilità praticamente unica nella storia, almeno finora, di vedere uno a fianco dell’altro due capolavori del Caravaggio che non solo non erano stati mai affiancati prima (se non forse quattro secoli fa nello studio del pittore), ma dei quali uno dei due, oltretutto, solitamente non è visibile al pubblico, dato che appartiene alla galleria privata di Palazzo Odescalchi ed è esposto solo ad intervalli di qualche anno e per pochi giorni, quando i fondi del FAI lo permettono.

La principale eccezionalità dell’accostamento risiede nel fatto che si tratta dello stesso soggetto, la conversione di San Paolo, dipinto per la Cappella Cerasi della chiesa di Santa Maria del Popolo, e rifatto due volte perché la prima versione fornita dal pittore non era troppo piaciuta ai committenti, cosa che al Caravaggio capitava assai di frequente.

Si tratta di due quadri straordinari, e straordinaria è anche la diversità con cui il genio ha ritratto lo stesso identico soggetto a poca distanza di tempo.

La prima cosa che colpisce nel vederli accostati è come si possa utilizzare lo stesso identico spazio (i due quadri, enormi, hanno le stesse dimensioni essendo stati entrambi destinati alla stessa collocazione) per riempirlo in modi così profondamente diversi, e con effetti e risultati quasi opposti.

La prima versione è un trionfo quasi barocco di movimenti, diagonali, impeti e forze scatenate che si manifestano e si fronteggiano. Il cielo è squarciato da un Dio furioso che si avventa verso Paolo, minacciandolo (Paolo, all’epoca Saulo, era un feroce persecutore di cristiani), ed è trattenuto a forza da un angelo dando la sensazione che se questi lasciasse la presa il Signore precipiterebbe a terra. Saulo, futuro Santo simbolo della diffusione della cristianità, è a terra, appena caduto da cavallo, e si copre gli occhi accecato dalla luce divina. Uno stalliere ricoperto da un’armatura guerresca trattiene a stento il cavallo impazzito che schiuma bava dalla bocca. La scena è all’aperto, e in lontananza si intravede un paesaggio nella luce del tramonto, o dell’alba. Forza e dinamiche straordinarie minacciano e rispondono, e tutta la composizione sembra sul punto di crollare, come se un attimo dopo il passaggio del nostro sguardo l’angelo cedesse, Dio precipitasse a terra, il cavallo fuggisse via verso l’orizzonte, il soldato si ripiegasse sul suo ginocchio destro e Paolo cadesse definitivamente a terra accecato.

E’ probabile che proprio la rappresentazione di un Dio così furioso e così “materiale” sia stata la causa principale del rifiuto dell’opera da parte dell'Ospedale della Consolazione, divenuto nel frattempo erede dei Cerasi, ma a quel punto, davanti alla necessità di elaborare una seconda interpretazione, l’artista è, come si dice proverbialmente, riuscito davvero a superare se stesso.

Paradossalmente c’è quasi da ringraziare il bigottismo e la censura dei committenti per aver costretto un genio come Caravaggio a rivedere la scena per cercarne un nuovo punto di vista, e la risposta è stata, appunto, quella di un genio.

La scena si sposta dall’aperto al chiuso, forse in una stalla, e il tempo fa un passo avanti. Siamo un attimo appena dopo la rivelazione. Il cavallo ha ancora un po’ di bava alla bocca ma si sta calmando, lo scudiero lo tranquillizza, Paolo è a terra con le braccia allargate, già colpito dalla rivelazione e ormai pronto ad accettarla in tutta la sua enormità. Dio non è più visibile, l’unica concessione al sovrannaturale è data da alcuni raggi di luce nell’angolo in alto a destra, quasi residui della folgorazione che ha strappato Saulo al suo destino di persecutore per votarlo definitivamente alla causa cristiana.

Per comporre questa nuova versione, Caravaggio riempie in modo smisurato quasi tutto lo spazio con il corpo immenso del cavallo. E a quel punto, perché anche il Santo abbia il peso compositivo che merita, lo spinge in fuori, nella terza dimensione. Paolo è a terra, nella parte bassa del quadro, ma esce verso di noi, uscendo dai confini della tela e avvicinandosi nella prospettiva in modo impressionante, ancor più accentuato dalla collocazione (conosciuta bene dall’artista al momento del concepimento della composizione) che costringe lo spettatore a guardare il quadro dal basso, proprio dal punto di vista del Santo sdraiato a terra.

La solennità dell’avvenimento stavolta è resa dall’apparente calma che regna, talmente diffusa e sofferta da suggerire emozionalmente la grandezza dell’evento che lo ha preceduto. Si può dire che nella prima versione si vede tutto il talento furioso di un artista geniale, nella seconda è possibile ammirare i risultati del genio quando oltre a seguire il suo “furor” si ferma qualche istante in più a riflettere.

Per i lettori di Parolae ho fotografato i due quadri durante l’esposizione. Per poterli mostrare li ho “raddrizzati” dalla distorsione dovuta alla obbligatoria ripresa dal basso e li ho ricollocati uno a fianco dell’altro come sono stati esposti, la prima versione a destra, la seconda a sinistra.

 

Michelangelo da Caravaggio, Conversione di San Paolo e Conversione di Saulo
(prima versione, normalmente nella Galleria Odescalchi-Balbi, Palazzo Odescalchi di Roma)
Roma, Cappella Cerasi – Santa Maria del Popolo, 1600 - 1601

 

Nel 2010, questo articolo è stato inserito nella raccolta Attraverso le forme, che potete trovare qui.

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