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Il coraggio della retorica

di Alessandro Borgogno - 12/3/2010

Clint Eastwood non sbaglia più un film. E il motivo è semplice: ha le idee chiare, e le persegue nel modo più diretto, senza paura di essere lineare e senza timore di enfatizzare ciò che va enfatizzato. Nella sua ultima regia, Invictus – l’invincibile, sceglie di confrontarsi di nuovo con la storia, ma stavolta una storia assai recente, solo quindici anni fa. Per molti quindi sta raccontando qualcosa che conoscono e che ricordano bene, e di cui conoscono quindi bene anche la fine. Ma questo non importa. Sceglie di raccontare la straordinaria storia di Nelson Mandela e della sua volontà calma e “invincibile” di costruire nel suo Sudafrica, da presidente, una nuova nazione dove bianchi e neri siano un unico popolo. Sceglie di raccontarlo, Clint, attraverso una delle sue intuizioni più geniali: la ricostruzione di una unica identità nazionale intorno alla squadra di Rugby. Impresa assai ardua, perché il Rubgy è stato fino a quel momento lo sport dei bianchi ricchi, mentre i neri poveri e segregati (i suoi neri) giocavano a calcio.

Ci riesce, eccome se ci riesce. Sfruttando i mondiali di Rugby che si svolgono proprio in Sudafrica, sotto la sua nuovissima presidenza e sotto gli occhi del mondo, sceglie di motivare la squadra (fatalmente ancora composta di tutti bianchi, salvo uno) per portarla ad essere la bandiera di una nazione intera, dove tutti, bianchi e neri come un solo popolo, possano esaltarsi e fare il tifo per lei come il simbolo del paese intero. In modo chiaro e rettilineo quasi a sfiorare l’ingenuità, il vecchio cowboy riesce alla fine a dire e raccontare molte cose. Riesce a farci partecipi dei momenti più difficili ed esaltanti di una nazione unica al mondo. Riesce a convincerci della necessità di rinunciare alla vendetta. Riesce perfino a ridare un senso allo sport nella sua componente più nobile, quella che sembra aver perso da tempo.

Come sempre la sua direzione degli attori colpisce per semplicità ed efficacia. Se poteva essere scontata la grande prova di Morgan Freeman nel ruolo per lui perfetto del presidente Mandela, assai meno poteva esserlo quella di Matt Damon nel ruolo del capitano della nazionale sudafricana, che invece riesce ad essere efficace e ricco di sfumature.

Regia e sceneggiatura limpidi e senza fronzoli toccano tutti i punti fondamentali della storia senza mai disperdersi e senza girare troppo intorno ai concetti essenziali.

E, inevitabilmente, la conclusione - la finale del mondiali - diventa un modo per far stare tutti lì sugli spalti, partecipando come si parteciperebbe in uno stadio per la propria squadra del cuore.

Poco importa che si sappia il risultato finale (ad esempio chi scrive lo sapeva e lo ricordava anche nei particolari): l’emozione si trasmette intatta, e la commozione anche. Un film molto più coraggioso di quanto la sua semplicità possa far sembrare: senza temere la retorica più diretta ed anzi affrontandola a viso aperto, Clint colpisce ancora una volta il cuore mentre la testa non smette di ragionare.

 

Invictus - l'invincibile, di C. Eastwood
con M. Freeman, M. Damon
USA 2009

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