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Gran Film, Grande Clint

di Alessandro Borgogno - 15/04/2009

Clint Eastwood ruggisce come un vecchio leone. Vecchio senza più nasconderlo, leone ancora superbo e con ancora molto da dire. Con una capacità quasi prodigiosa di rimettersi continuamente in discussione alla soglia degli ottant’anni. E riuscendo a dire cose importanti e ricche di sfumature con la massima semplicità. Con il suo stile asciutto ormai ridotto quasi all’essenziale ci racconta il tramonto della vita di Walt Kowalski, reduce di Corea, metalmeccanico in pensione, da poco vedovo, cattivo e odioso come potrebbe esserlo Callaghan da vecchio, solitario, razzista e violento. Presenta il personaggio già pieno di sfumature intriganti facendolo praticamente solo grugnire per la prima mezzora di film. Allo stesso tempo introduce tutti i temi che svolgerà durante il racconto, che sono cosette da nulla come le differenze razziali, il rapporto fra i padri e i figli, la capacità di comprendere e perfino di amare qualcuno. Con queste premesse Clint ci porta per mano a scoprire con lui che non esiste un’età per smettere di imparare qualcosa, che in ogni momento la vita ci può ribaltare le convinzioni e farci capire qualcosa di nuovo e inaspettato. Ce lo dice senza girarci intorno, senza rifugiarsi in facili sfumature. Ce lo dice in faccia, con frasi tipo “Dio, ho più cose in comune con questi cinesi, di quante ne abbia con la mia marcia famiglia" (famiglia, in questo caso i suoi “bravi figli”, a cui come sempre più spesso accade nei suoi film viene riservato il massimo disprezzo).

La Gran Torino del titolo è il totem attorno al quale gira la storia, una vecchia Ford che Walt ha contribuito a costruire quand’era alla catena di montaggio e che ora tiene in garage, perfettamente curata e tirata a lucido ma senza mai usarla, simbolo perfetto del presunto passato glorioso nel quale ormai vive, incarognito e sprezzante di tutto il resto del mondo, finché non comincia a scoprire suo malgrado che intorno a lui quello stesso mondo che lo disgusta forse contiene ancora cose per le quali vale la pena vivere, e forse anche morire. Intelligentemente feroce nei riguardi del politically correct, Clint ci regala dialoghi, spesso quasi comici, nei quali invece sembra suggerirci che la vera soluzione non è nell’annullare ipocritamente le differenze, ma nell’evidenziarle fino alla ferocia, utilizzandole per sbeffeggiarle e sminuirle così di gravità, e per coltivare ironia e autoironia (lui stesso ce l’ha con qualsiasi altra razza ma è di origini polacche!), in un esercizio difficile, sempre in bilico, e probabilmente per questo funzionante.

Non raccontiamo la storia, perché è tanto semplice quanto irraccontabile, fatta com’è di particolari, di sguardi, di situazioni quotidiane che sfociano quasi senza scarti nell’eroismo e nell’epica. Clint appare sempre più deciso a fare i conti con la morte, laddove finora i suoi personaggi ci avevano spesso giocato, ora ci dialogano, la guardano in faccia in modo serio, la vivono attraverso i funerali o attraverso le violenze inflitte agli altri, e la reinterpretano rivedendo anche con gli occhi della vita trascorsa le morti e le violenze viste in passato forse con troppa superficialità.

Mai come in questo film la morte non è più soltanto una soluzione o un evento o una catarsi, è una compagna di viaggio, non peggiore di altre, di sicuro meritevole di attenzione e di profondo rispetto, finendo per dare quasi l’impressione che Clint abbia voluto costruire il suo personale “settimo sigillo”, la sua partita a scacchi contro la signora con falce. Il giardino e il quartiere come scacchiera, i “musi gialli” e di tutti gli altri colori i pezzi in gioco, la Ford Gran Torino la regina, il suo Walt Kowalski l’alfiere che può fare la mossa risolutiva, se saprà avere ancora la forza e soprattutto se saprà usarla per andare contro i pregiudizi che ne hanno condizionato le partite per l’intera vita.

E di certo proprio questo film suona come un autentico testamento, se non del Clint regista e attore al quale auguriamo ancora molti capolavori come questo, di sicuro di un certo tipo di personaggi indissolubilmente legati alla sua figura, i Callaghan, i pistoleri senza nome, i reduci di guerra spietati e risoluti a cui ora la vecchiaia può regalare un nuovo modo di vedere e di capire la vita.

E, come accade per i personaggi veramente grandi, proprio la loro vecchiaia e ancora più il loro testamento ci riserva le sorprese più notevoli, meno prevedibili, e più interessanti.

 

La frase: "Quello che perseguita di più un uomo é ciò che non gli é stato ordinato di fare.

 

Gran Torino, di C. Eastwood
con C. Eastwood, C. Carley, B. Vang, A. Her
USA 2008

Per leggere la recensione di Ilaria su questo film

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