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Metafora ottimista dell'intrattenimento cinematografico di Armando Cereoli - 7/2/2008 Ancora zombi. Ancora virus fuori controllo che quando non trasformano i contagiati in famelici morti viventi provocano sterminio di massa. E ancora la speranza del riscatto del genere umano dopo l'immane tragedia, per mano del solito grande uomo. L'elenco degli epigoni del genere potrebbe raggiungere, tra titoli mainstream e B-movie, le centinaia di pellicole. Io sono leggenda non è altro che il classico film già visto dall'inizio alla fine, senza approfondimenti (eccetto un prologo animato visto solo in America) e con qualche leggerezza nel pur semplice impianto narrativo. Un barlume di morale ottimistica sul ruolo della scienza nel destino dell'uomo fa capolino sul finale ma non ci fa caso nemmeno la Warner Bros che anzi punta decisa sull'infallibile mix di azione ed effetti speciali che lascia pur sempre contento lo spettatore medio. Will Smith, nella parte dello scienziato militare rimasto solo al mondo a combattere il male, mostra muscoli e capelli bianchi con uguale disinvoltura, ma è senza sorprese, come del resto una pellicola del genere impone. Le strabilianti scenografie di Manhattan deserta ci
avevano dato l'illusione di trovare qualcosa di nuovo, abbiamo atteso
per le due ore un colpo basso, magari un finale senza speranza che ci
facesse uscire dalla sala tramortiti. Ci ritroviamo con l'uggia
dell'ovvio a scrivere queste poche righe affannandoci a ricordare cosa
abbiamo visto e a domandarci perché questo cinema, che basa il suo
impatto sulla paura, sia così poco coraggioso. Ma in fondo cosa sono le
nostre ragioni in confronto a quelle del botteghino? Noi che ci
aggiriamo per le sale in cerca di soddisfazione siamo un po' come il
Will Smith qui visto, e i produttori che tentano di adescarci con queste
minestrine somigliano agli zombi che lo rincorrono. Con la differenza
che nel film il prode Will in qualche modo la spunta mentre noi altri
usciamo dal cinema desolati e scontenti. Io sono leggenda, di
F. Lawrence |
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