film

 

The Prestige ovvero la Magia del Cinema

di Alessandro Borgogno - 7/1/2007

Onore ad un film originale e intelligente.

Originale perché ambientare un thriller quasi filosofico nel mondo degli illusionisti di fine ottocento non è impresa da tutti.

Intelligente perché mescola con perizia e mano ferma una gran quantità di temi per nulla banali: il tema del doppio (da sempre sentito da molti autori a partire dal caro vecchio Hitch), la passione che diventa ossessione e il confine, personale e morale, che si è disposti a raggiungere e varcare per vederla soddisfatta, il tradimento e la vendetta vissuti come causa e ragione stesse dell’esistenza.

E ancora il ruolo della Scienza nella ricerca dei limiti dell’uomo e della ragione, e poi, naturalmente, il tema della rappresentazione, insito nel suo essere film, della scelta di cosa mostrare e cosa nascondere, e di come presentare al pubblico ciò che si sa, ciò che si è, e ciò che si vuole raccontare.

Inutile e criminoso sarebbe svelare anche solo in parte la trama di un film che chiede allo spettatore prima di tutto attenzione. Attenzione nel seguire la trama e le motivazioni di ciascun personaggio, e nel guardare sempre molto attentamente tutto ciò che accade, poiché dalla prima all’ultima inquadratura ciò che si vede può sempre essere un trucco, un’illusione, o altro rispetto a ciò che i nostri occhi vorrebbero vedere.

Tutto ciò, va detto, senza rinunciare alla ormai consueta e immancabile confezione hollywoodiana di alcuni elementi e cliché piazzati nei posti giusti, per assicurarsi che il pubblico venga tranquillizzato a dovere in alcuni momenti strategici: ma questo sembra far parte ormai del limite di gran parte del cinema contemporaneo, non più solo d’oltreoceano, e The Prestige se non altro ha il merito di dichiararlo esplicitamente nel suo stesso esistere e di invitarci quanto meno a non dare per scontate neanche le apparenze più stereotipate.

Davvero sottile, in un film che per sua stessa natura non può fare a meno di parlare anche di se stesso in quanto spettacolo di illusione, una delle considerazioni che sono anche motori stessi della vicenda, secondo la quale mostrare al pubblico qualcosa di straordinario non è mai sufficiente. Occorre presentarla in modo adeguato, e soprattutto dare sempre modo di poter sospettare il trucco anche quando il trucco non dovesse esserci, perché qualora si dovesse scoprire che qualcosa di straordinario lo è davvero, allora le conseguenze sarebbero incontrollabili, e in ogni caso lo spettacolo non avrebbe raggiunto il suo scopo.

Esemplare quindi che anche qualcosa che potrebbe essere la scoperta scientifica più sensazionale di tutta la storia dell’umanità non possa essere presentata come tale, ma possa trovare la sua giusta collocazione solo come un ennesimo, strabiliante trucco di un illusionista.

Così i temi si intrecciano fino quasi al capogiro, dal valore morale e professionale del Segreto alla necessità di scelte anche estreme per raggiungere uno scopo, fino all’avvitamento inevitabile di un meccanismo di vendetta che trova la sua migliore espressione non nel battere l’avversario superandolo in bravura ma ottenendo il massimo proprio nello svelare, e soprattutto rovinare in pubblico, i suoi trucchi.

E da ultimo, anche se forse questo è il tema più debole, anche un conflitto di classe fra i due protagonisti avvinti nella spirale demoniaca, impossibilitati ad andare avanti senza il confronto e la sfida con l’altro, l’uno ricco e nobile e dedito all’illusionismo per pura passione, l’altro sottoproletario e costretto sempre e comunque a fare i conti con la necessità di esercitare la professione, e anche il rischio, per motivi di sopravvivenza.

La regia di Nolan (che già aveva avuto modo di mostrare, pur alle prese con una materia ormai abusata, alcune cose originali anche nel suo precedente Batman Begins) è elegante e a tratti talentuosa. Non spreca effetti speciali, e quei pochi sono strettamente funzionali. Gioca invece con estrema abilità, assumendo naturalmente il ruolo di primo illusionista della storia, attraverso il montaggio, le inquadrature, i salti narrativi e perfino le tecniche apparentemente più scontate come campi e controcampi.

E dirige magnificamente gli attori, tutti assolutamente convincenti. Hugh Jackman e Christian Bale, i due contendenti sempre perfettamente in equilibrio tra loro, rendono con assoluta verosimiglianza anche le sfumature più ardue dei loro personaggi, come ad esempio la grande presenza scenica del primo e il maggiore talento del secondo che però non riesce a tradurre adeguatamente ciò che sa fare in ciò che si vede sul palcoscenico.

Immenso come sempre Michael Caine, che essendo ormai grandissimo anche nei peggiori film che gli capita di attraversare (e di brutti ne ha attraversati parecchi), figurarsi cosa è capace di fare quando finalmente incappa in un buon film.

Come sempre incolore la Johansson, che neanche stavolta riesce a rendere particolarmente interessante il suo personaggio, per fortuna senza grandi conseguenze e comunque ampiamente compensata dall’altra interprete femminile, Rebecca Hall.

Infine, citazione d’obbligo per David Bowie, che nonostante età e peso più visibili (finalmente, viene da dire!), riesce ad aggiungere comunque un tocco di gelida eleganza al personaggio di Nikola Tesla, unico personaggio storicamente esistito e altro merito del film, che indirettamente e senza pontificarci sopra si permette anche il lusso di una piccola ma significativa rivalutazione di questo grandissimo scienziato e inventore ottocentesco, al quale ormai anche le comunità scientifiche attribuiscono la vera paternità di diverse scoperte fondamentali sull’elettromagnetismo da sempre ricondotte al ben più famoso Edison, e vincitore della “guerra delle correnti” a cavallo del secolo al termine della quale la “sua” Corrente Alternata sconfisse la Corrente Continua del suo (forse ingiustamente) più celebre avversario.

Unico vero limite del film, probabilmente tributo obbligatorio alle necessità del mercato, è lo scioglimento finale dell’intreccio che, per quanto brillante, presenta almeno due difetti consistenti.

Il primo è che sentendosi invitati per tutto il film a “guardare bene”, a “non farsi distrarre” e a “non fidarsi delle apparenze” si finisce per prendere l’invito alla lettera e quindi scoprire gran parte dei segreti prima del finale.

Il secondo, sicuramente più grave, è che il film è così convincente da farci arrivare alla fine davvero convinti che la cosa più importante di tutte sia non rivelare mai completamente il trucco.

E allora, maledizione, perché rivelarcelo?

 

The Prestige, di C. Nolan
con H. Jackman, C. Bale, M. Caine, S. Johansson, R. Hall, D. Bowie
USA 2006

Tutti i film