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Dark lady di metallo cromato

di Alessandro Borgogno -7/12/2006

John Carpenter è un vero regista cult. Il motivo principale è che si tratta di un cineasta con un grandissimo talento ed un rigore quasi altrettanto estremo. Ed è anche uno di quei registi che, per motivi misteriosi ma non tanto, riesce a dare il meglio di sé quando ha pochi soldi e budget risicati, perché la sua capacità di inventare cinema dagli elementi più poveri è quasi ineguagliabile. Scherzando ma non troppo a me viene da dire spesso che se fossi un produttore taglierei il budget a Carpenter subito dopo l’inizio delle riprese, così sarei certo che sfodererebbe un filmetto geniale.

Stephen King invece non ha bisogno di presentazione. Piaccia o no, è uno dei più grandi scrittori americani dell’ultimo trentennio, e la sua capacità di far scaturire l’orrore e la suspense negli ambienti più banali e dagli elementi più consueti è pari quasi quanto alla sua bravura nel narrare le storie e nel dar vita a personaggi realistici anche nelle situazioni più inverosimili.

L’incontro tra i due è avvenuto nel 1983, e ho avuto modo di godermi di nuovo il risultato per l’uscita del vecchio film in una collana di DVD da edicola.

Christine è una splendida macchina anni ’50, una Plymouth del ‘58 per la precisione, che ha una sua anima propria, naturalmente nerissima, e con questa miete vittime per vent’anni, fino a stregare un ragazzo americano degli anni settanta un po’ imbranato, un tipico nerd, arrivando infine a dominarne la volontà con una gelosia degna del peggiore essere umano e con questa devastare tutto il suo mondo e tutto ciò che ha intorno.

Così l’orrore, che si manifesta esteriormente con l’accensione autonoma dell’autoradio che trasmette rigorosamente solo canzoni anni ’50, si introduce e si spande nel tipico ambiente della provincia americana, fra college, partire di football e villette con garage e giardino.

L’ambientazione farà scuola, e di film horror inseriti in contesti simili ne seguiranno a decine (primo fra tutti il ciclo di Nightmare), ma ciò che fa di questo film un piccolo gioiello è soprattutto la tecnica cinematografica e narrativa.

Non è sicuramente il miglior film di Carpenter né il miglior romanzo di King, e senz’altro non è un capolavoro. E’ però un film da non perdere assolutamente se si vuole capire cos’è veramente il cinema e come un regista davvero capace può ottenere effetti straordinari con la sola padronanza del linguaggio, della composizione dell’immagine e del montaggio.

Il film è totalmente privo di veri effetti speciali, ed utilizza soltanto con estrema fantasia e finezza le tecniche più banali e alla portata di chiunque: cambi di luce, atmosfere, movimenti di macchina semplici ed efficaci, e qualche geniale ripresa riproiettata in senso inverso per produrre l’effetto dell’automobile che si rimette in sesto da sola dopo i danneggiamenti.

Nessuna vera paura, ma un’inquietudine costante e crescente, quella sì davvero fedele al romanzo, alcune scene davvero belle, e belle proprio per la loro semplicità (Christine fiammeggiante che insegue il gran cattivo, la ricomposizione dell’auto sotto lo sguardo ammaliato del suo proprietario, le scene iniziali alla fabbrica delle Plymouth) e almeno un paio di brividi cristallini. Vedere e applaudire il momento in cui, nel finale, il regista ci regala un sobbalzo non evitabile neanche alla decima visione, e lo ottiene con una semplice accensione di fari, per di più proprio nel momento in cui chiunque se lo aspetterebbe.

Insomma fra tanta spazzatura chiassosa che il cinema ci ha propinato negli ultimi anni e fra decine di film che per darci un po’ di divertimento non riescono più a rinunciare a milioni di dollari di effetti speciali digitali (e spesso con risultati fasulli), ridiamo un’occhiata a Christine, e apprezziamo quanto il cinema, nelle mani giuste, può essere un modo di raccontare storie semplice ed efficaci come nessun altro, e quanto ancora ci sia da poter fare ed inventare, volendolo fare, con i soli elementi di base di quella che viene giustamente chiamata settima arte.

La frase : “Non si può lustrare il letame.

 

Christine – La macchina infernale, di J. Carpenter
con K. Gordon, J. Stockwell, H. Dean Stanton
USA 1983

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