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Troppa tragedia per nulla di Ilaria Scala - 17/10/2006 Nel cinema di Rubini c’è spesso la descrizione del Sud come luogo dell’anima: luogo di sentimenti estremi, valori assolutizzati, giustizia personale e senso dell’onore. Nel suo ultimo La Terra, il luogo dell’anima è un Sud pugliese che potrebbe essere ovunque: deserto, assolato, piccolo e meschino. Piccolo perché i fili che legano i suoi abitanti tra loro sono pochi e brevi, e a tirarli da una parte si stringono dall’altra, fino a strozzare i protagonisti o spezzarsi; meschino perchè gli stessi fili sono unti di mediocrità e vigliaccheria, e gli affetti raramente restano puri, e la fratellanza, invece che avvicinare, separa. Il succo de La Terra è tutto qui: nel progressivo “sporcarsi” delle relazioni tra quattro fratelli pugliesi intenzionati a vendere la masseria paterna e la terra circostante. Perfino Bentivoglio, il maggiore, il più disinteressato e trapiantato da anni al Nord, si lascia inquinare, in nome di un senso di famiglia che sfida ogni principio morale. La trama è drammatica e morbosa, gli attori bravi e dediti, la regia appassionata. Ma il risultato non convince: è caotico, esagerato e retorico. Forse Rubini non sa girare i gialli, o forse il melodramma all’italiana non si addice al suspense di hitchcockiana memoria. Certo è che se La Terra va presa come storia in sé è troppo ridondante di tragedia, cattiveria e Fato per essere credibile. Se invece è una metafora dei sentimenti e della morale meridionali, beh, non ci fa certo onore. Fossi un italiano di quelle parti, mi offenderei.
La Terra, di
S. Rubini |