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La Dalia Noir

di Alessandro Borgogno - 4/10/2006

E così, con Black Dahlia, anche Brian De Palma si confronta con il genere noir. E decide di apparecchiarcelo nella sua forma più classica.

Forse per questo, e conoscendolo non dubitiamo che la scelta sia volontaria, non ci risparmia le situazioni tipiche de Il grande sonno marlowiano di Howard Hawks, dove a un certo punto i nomi dei personaggi si accavallano fino a confondersi e l’intreccio non si riesce più a seguire con la dovuta chiarezza.

De Palma supplisce però con la sua consueta maestria nel costruire immagini, che nella composizione e nel ritmo non annoiano mai anche quando sembrano apparentemente statiche.

Sceglie, contrariamente alla sua tipica forma voyeristica dove l’occhio della camera è sempre il protagonista, un registro più classico con campi, controcampi, messe in scena di gran classe ma con i guizzi registici regolati al minimo.

Ne viene fuori un bel film, elegante e teso, che sceglie in modo probabilmente consapevole di somigliare nella fotografia e nello svolgimento a L.A. Confidential, con il quale condivide l’autore del romanzo ispiratore, J. Ellroy.

I veri punti deboli sembrano però essere proprio i momenti in cui De Palma rinuncia alle sue corde più tipiche. E così il meccanismo a “Whodunit” (chi l’ha fatto?), cioè colpo di scena con rivelazione finale che svela l’intrigo, non riesce a soddisfare del tutto, e viene compensato solo dal suo talento sempre brillantissimo nella costruzione delle scene madri. Così anche la mancanza di quei momenti topici che lo hanno reso famoso e che solo lui riesce a padroneggiare spesso al di là di qualunque verosimiglianza (rallenty, accadimenti contemporanei, virtuosismi di macchina funzionali alla meccanica delle scene) finisce per rendere il film meno incisivo di quanto potrebbe.

Inutile riassumere la storia, sarebbe come tentare di riassumere le trame chandleriane notoriamente non proprio “ad orologeria” (mitico l’episodio secondo il quale, durante la lavorazione de Il grande sonno, gli altri sceneggiatori chiamarono Chandler, autore del romanzo e co-sceneggiatore del film, per chiedergli che fine facesse uno dei personaggi che a un certo punto scompariva dalla storia, e soprattutto mitica la risposta di Chandler: “Non lo so!”).

Detto questo, Black Dahlia rimane comunque un film senza errori e senza sbavature, e questo è già un pregio, arricchito per di più da alcune buone prove da parte degli attori.

Bravi i due protagonisti maschili, soprattutto Josh Hartnett. Monocorde la Johansson, che De Palma sembra divertirsi a contenere e raffreddare nelle sue potenzialità più “fisiche”. Molto più convincente invece la Swank, in una parte totalmente diversa da quella che l’anno scorso le fece conquistare il meritato Oscar in Million dollar baby di Clint Eastwood.

Rimangono anche, comunque, almeno un paio di momenti puramente “depalmiani”, anche in questo caso in una forma più contenuta del solito. La scena 'appostamento-donna in pericolo-uomo sulla strada-poliziotti in macchina-sparatoria', tenuta insieme da uno dei suoi proverbiali dolly che raccontano e collegano i fatti seguendoli dall’alto, e la scena 'agguato-omicidio-pericolo-uomo sconosciuto-assassino misterioso-caduta', ambientata in un enorme scalone con altrettanto enorme tromba delle scale all’interno di un palazzo.

Anche le citazioni hitchcockiane, a differenza di tante altre volte, stavolta sembrano essere ridotte al minimo e dedicate solo ai suoi più attenti fans, quasi per non deluderli.

Scontata e grossolana quella dei corvi nella prima delle due scene citate, più sottile e funzionale alla trama l’utilizzo del pacchetto di cerini con appunti scritti (proveniente da Intrigo internazionale e già citata dallo stesso De Palma ne Gli intoccabili), molto più sostanziale fino a farne un perno narrativo che gode di vita propria al di là della citazione l’intera situazione della seconda scena citata (che altro non è che la scena madre nelle scale del campanile da La donna che visse due volte). In questo secondo caso, il grande pregio sta proprio nel farcelo notare dopo e non durante la scena, perché, a dimostrazione del fatto che anche quest’effetto è sotto il controllo dell’autore, il vero punto in comune fra la scena di Black Dahlia e l’originale hitchcockiano, cioè l’incapacità ad intervenire del protagonista, viene sottolineato proprio da quest’ultimo, e solo in seguito, mentre si tormenta ricordando l’accaduto.

Insomma, De Palma non delude mai veramente e non perde mai la mano, confermandosi ancora uno dei migliori registi in circolazione non solo per virtuosismo ma anche per capacità di tenere fermamente sotto controllo storie, scene e situazioni ad un livello di complessità che altri non si azzarderebbero mai neanche ad avvicinare.

Noi che lo amiamo da sempre però lo preferiamo quando si lascia andare un po’ di più.

 

Black Dahlia, di B. De Palma
con J. Hartnett, A. Eckhart, S. Johansson, H. Swank
USA - Bulgaria, 2006

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