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Al di qua o al di là della rete

di Ilaria Scala - 5/2/2006

Woody Allen ci sorprende, anche se sul suo film londinese tutto è stato detto e scritto ben prima che noi entrassimo al cinema.

In Match Point non troverete il jazz, troverete l'opera. Non troverete arguzie e battute ironiche, bensì dialoghi serissimi, curati, a volte pomposi e addirittura inverosimili, ma sempre perfettamente funzionali alla storia. Non troverete New York, ma una Londra solenne e severa, grigia quanto basta e impassibile di fronte alle miserie umane. Non troverete l'Allen Attore, ma l'Allen Regista, che al momento è assai più interessante: cinico, crudele e cosmicamente pessimista rispetto ad un'eventuale giustizia del destino. Il film, infatti, si presenta come una parabola istruttiva sulla Fortuna. E ne conclude che la Fortuna aiuta i malvagi, se son così coraggiosi da sfidarla.

Match Point è un dramma hitchcockiano giocato sulle atmosfere e sui dettagli, che fanno da protagonisti più dei personaggi e della trama.

Più dello snob spiantato Chris Wilton, ex campione di tennis deciso a farsi strada nell'alta società londinese; più di sua moglie Chloe, che lo incontra se ne innamora lo sposa e lo sistema in una delle società del padre; più dell'attricetta americana Nola, che lo incontra ne è attratta (ricambiata) e ne diventa l'amante clandestina; più di tutti loro, veri protagonisti del film sono una pallina da tennis sulla rete, e un anello sulla ringhiera del Tamigi.

La sorte degli uomini dipende dal loro cadere al di qua o al di là della rete, al di là o al di qua della ringhiera. E la morale amara dei fantasmi, che irrompono sulla scena come nel finale didascalico di una tragedia greca, non interessa a nessuno. La morale, al giorno d'oggi, non esiste neanche più.

 

Match Point, di W. Allen
con S. Johansson, J. Rhys Meyers
USA 2005

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