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Il senso di una ruga

di Ilaria Scala - 10/10/2005

In Intrigo Internazionale, a Eve Marie Saint mancavano solo una o due rughe per essere perfetta. Le avrebbero tolto un po' di alterigia, e aggiunto umanità.

Guardatela in Non bussare alla mia porta, l'ultimo di Wim Wenders: avrà 80 anni, è piena di rughe, e quando compare illumina la scena. Di forza, di simpatia, di empatia e dolcezza.

Guardate invece Jessica Lange: 50 anni soltanto, sguardo ingenuo, per sempre senza naso. Con le guance gonfiate artificialmente non riesce a modulare le espressioni del viso in modo realistico. Nei momenti di maggior pathos, ella piange. E tu temi che le esploda la faccia.

In un film in cui l'azione è poca e i sentimenti, e il modo di esprimerli, sono tutto, due maniere opposte di intendere la maturazione producono due opposte maniere di interpretare il proprio personaggio. Di esserci, insomma.

Come nelle altre opere di Wenders, co-protagonista è il Paesaggio (stavolta le distese aride e immense del Nevada e del Montana); la natura, si sa, recita sempre bene, con o senza rughe.

I piccoli personaggi umani, invece, si agitano come mosche in un barattolo, si cercano, si respingono e si chiariscono sotto i riflettori di una fotografia perfetta, e alla fine la storia si chiude con un bagliore di ottimismo: ognuno aggiunge una ruga sul suo viso e forse vivrà più libero, d'ora in poi.

E tu pensi che Wenders è davvero un gran ritrattista d'anime, un ottimo narratore della commedia umana, e, come si addice ai creatori d'atmosfera, non sbaglia una colonna sonora.

Peccato che gli manchi il dono della sintesi.

 

Non bussare alla mia porta [Don't come knocking], di W. Wenders
con S. Shepard, J. Lange, E. M. Saint - USA 2005

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