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Il film immobile di Ilaria Scala - 27/3/2005 Finalmente ho visto L'ora di religione di Marco Bellocchio. Quando uscì, mi ricordo, si gridò allo scandalo e alla blasfemia. Io griderei, piuttosto, alla miopia e allo sbadiglio. Dalla storia cinica della donna beatificata per aver subito e perdonato cristianamente il figlio che la uccise, dell'altro figlio, ateo convinto, che giudica l'operazione più pubblicitaria e clericale che puramente religiosa, della "corte" di parenti e prelati intorno, ciascuno in cerca del proprio vantaggio personale di denaro o d'immagine, si sarebbero potuti trarre ottimi spunti di riflessione. Ne è uscito invece un pasticcio di ragionamenti filosofici incerti, dialoghi confusi e biascicati, interni bui e deprimenti, personaggi deliranti e poco realistici. Alla fine, neanche la scelta laica risulta del tutto vincente: il protagonista scettico rinuncia al sorriso (riuscite ad immaginare una condanna peggiore?) e non trova alcuna consolazione nel suo mantenersi scevro da ogni ipocrisia. Il resto è un carosello di marionette che si agitano senza scopo, e metafore visive dagli effetti ben poco speciali. Unica nota positiva, i dialoghi tra il padre ateo e il bambino incuriosito dalla religione imparata a scuola. Castellitto, da quel grande attore che è, riesce a trarre il massimo dalla naturalezza istintiva del bambino che interpreta il figlio (Alberto Mondini), e il risultato sono conversazioni semplici, vive, che basterebbero da sole a racchiudere il vero significato del film: la Fede non si può imporre, ma neanche si può impedirle di sbocciare negli animi che sceglie.
L'ora di religione, di
M. Bellocchio |