eventi

 

Patrimonio corale

di Alessandro Borgogno - 3/10/2010

Il luogo meriterebbe già da solo: l’Auditorium Parco della Musica di Roma progettato da Renzo Piano, e in particolare la grande Sala Santa Cecilia con la sua enorme forma di Liuto e i suoi tartarugheschi pannelli in legno.

Il Direttore è un monumento vivente: Kurt Masur, uno degli ultimi eredi del Kaiser Von Karajan e soprattutto uno degli ultimi della sua generazione.

La musica è La Musica: le sinfonie di Ludwig Van Beethoven, ossia l’invenzione definitiva che ha aperto le porte al Romanticismo e soprattutto ad un modo di concepire ed ascoltare la melodia che ancora oggi nessun altro è riuscito a rimpiazzare.

Raccontare è un problema, occorrerebbero pagine e pagine per descrivere l’opera architettonica di Renzo Piano, i suoi spazi concepiti e materializzati in funzione della musica e delle persone che vanno lì ad ascoltarla. L’eleganza delle linee che creano platea, gallerie e arene fra i tre enormi scarabei verdi che sono le tre sale.

Ci vorrebbero poi molte altre pagine per raccontare il Direttore. Ottantatreenne visibilmente minato dal morbo di Parkinson e al tempo stesso presenza magnetica dal gesto solo apparentemente incerto ma in realtà capace di partecipare ad ogni singola nota, chiamando con un dito i fiati e accompagnando con il braccio l’entrata dei violini (aiuta, a partecipare a questo dialogo al tempo stesso intimo e plateale, la singolare collocazione della galleria che, proprio per la forma voluta da Piano, permette di avere posti anche alle spalle dell’orchestra e quindi per chi si trova lì poter vedere, cosa assai rara, il Direttore di fronte anziché di spalle come accade di consueto).

E ci vorrebbe poi un libro intero per parlare del genio di Bonn, Ludwig Van. Amato e odiato dai contemporanei come dai posteri quasi in egual misura e quasi in egual misura motivatamente. Forse l’unico fra i grandi musicisti che riesce ad essere al tempo stesso superficiale e profondo, e non per un capriccio o per casualità, ma proprio perché lo era e voleva esserlo. Con quella che probabilmente è la vera grande intuizione generale che ne ha fatto uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, ha coscientemente deciso che la sua musica doveva essere sì emozionale, simbolica, indagare nel profondo dell’animo e tirarne fuori le cose più nascoste, ma doveva farlo raggiungendo il maggior numero possibile di orecchie e di cuori. Doveva farlo senza diventare filosofica o intellettuale, ma restando, e soprattutto diventando, vera musica popolare. Beethoven ci riuscì, ed è per questo che era un genio.

Noi abbiamo scelto di limitare la nostra partecipazione ad una serata. Quindi, va da sé, l’ultima. In programma la Sinfonia n. 8, semplice e perfino delicata, quasi un Beethoven di inizio carriera, e poi l’inevitabile, la divina, la monumentale, La Sinfonia per eccellenza. Perfino dichiarata, a ragione, Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

La Sinfonia n.9. La “Corale”.

Per gli amici e per i nemici semplicemente La Nona.

Già, in realtà ci vorrebbe un libro intero solo per la Nona. Per la sua capacità di suonare nelle orecchie di tutti e di sembrare ogni volta nuova di zecca. Per il suo avere influenzato, dal 1823 ad oggi, qualunque cosa ma proprio qualunque (una fra le tante, per chi ancora non la sapesse: i CD Audio che tutto il mondo usa hanno una durata massima di 74 minuti,né uno in più né uno in meno, per un unico motivo. Perché 74 minuti dura la Nona di Beethoven. Era un progetto congiunto Philips-Sony. I tecnici della Philips avevano proposto 60 minuti. L’allora presidente della Sony, Akio Morita, impose 74 minuti: doveva entrarci tutta intera la Nona Sinfonia di Beethoven).

In ogni caso, grande serata e grande suono. Vibrazioni in scorrimento libero lungo le linee della testuggine di legno della Sala.

E la Nona, bè… vive talmente di vita propria che è come incontrare ogni volta un vecchio amico che migliora con l’età.

Sempre immancabili le vibrazioni al primo movimento, Allegro non troppo, con quel brivido della quinta vuota, la-mi, che da sempre, dopo di lei, richiama e simboleggia l’indeterminatezza, volendo anche il caos da cui nasce l’ordine dell’universo.

Sempre travolgente lo Scherzo del secondo movimento, con le scale che si inseguono dove non penseresti mai possano arrampicarsi o precipitare. Fra tutti forse questo è il movimento che ogni volta mi sconcerta di più nel costringermi a ricordare che tutta la sinfonia è stata scritta da un grande vecchio già completamente sordo. Assurdo a pensarci, strabiliante a constatarlo. Facile pensare “ce l’aveva in testa”, qui c’è di sicuro molto di più. Di sicuro Beethoven era capace di ascoltarla ugualmente la sua musica, anche senza utilizzare più i suoi padiglioni auricolari.

E poi l’Adagio, al terzo movimento, dolce e rilassante, riposo meritato e meditato dalle onde impetuose dei primi due e in evidente e cosciente preparazione del travolgente finale.

E infine, quasi che tutto, come sempre, fosse solo un sublime trasporto verso l’ultima stazione, il Quarto Movimento. Neanche classificabile nelle normali categorie sinfoniche, perché è stato sempre, e fin da subito, una cosa unica e altra. A partire dalla lunghezza, dall’utilizzo del coro maestoso rimasto silenzioso fino ad ora, e che ora con forza maestosa ti prende e ti porta al grido dell’Inno alla Gioia, da tutti conosciuto e da tutti ammirato. L’essenza della Sinfonia Beethoveniana, Grande musica e al tempo stesso popolarissima canzone. Una autentica Hit intramontabile.

Mi stupisce ogni volta constatare, e ne sono convinto, l’assoluta consapevolezza del Ludwig di stare scrivendo qualcosa che sarebbe rimasta in testa a tutti. Sapeva che quella sarebbe stata una melodia mandata a memoria da chiunque. Lo sapeva talmente bene che il movimento sembra scritto non per chi la ascolta la prima volta, ma per chi la conosce già benissimo e la sta aspettando fin dall’inizio. La evoca alle prime battute, poi comincia a farla suonare da contrabbassi e violoncelli (ed è un brivido assoluto), poi dai fiati, poi dagli archi, poi la fa ripetere da tutta l’orchestra. E’ come se ti stesse dicendo continuamente “eccola… sta arrivando, ora arriva… la senti? Eccola che ora esplode…. Arriva arriva…”. Beethoven sapeva quello che faceva, e lo faceva con un spirito di manipolazione dell’ascolto assolutamente impareggiabile (ed era sordo!).

Senso del tempo (e vorrei vedere) e soprattutto capacità di comunicazione assolutamente moderne, anzi contemporanee. Altro che marketing e creativi dei giorni nostri (e dei nostri stivali). Quello sì che era un genio della comunicazione.

Dopo averti lanciato l’amo e averti fatto pasturare come un carpa per minuti e minuti, ti molla lì e attacca un cantato, solista. Che ti verrebbe da dire “embè?”, e naturalmente ci stai cascando, perché mentre stai lì che segui il solista che sembra stia girovagando intorno alla melodia che tutti aspettano, infila di slancio la prima strofa e nella seconda viene già sommerso dal coro che esplode tutto insieme. E ti viene da gridare cantando anche a te, in tedesco, senza saperne una parola. Un orgasmo.

Eccola lì, la musica classica e la musica moderna insieme, nello stesso pezzo. Quarto movimento della Nona Sinfonia. Tutta la musica melodica, le canzoni popolari, la musica leggera, il rock, lo swing, tutto viene diretto da lì, e da lì ancora non ha trovato la via d’uscita.

Gran finale ed ovazione interminabile, a giusto coronamento anche dell’intero ciclo di concerti, per il Maestro Masur, per l’Orchestra e per il coro dell’Accademia di Santa Cecilia e per i quattro cantanti solisti. E così anche lo scroscio del battimani scorre armonico lungo i pannelli lignei dell’enorme cassa armonica.

E alla fine ti resta molto. Il senso della bellezza di un’architettura che è come dovrebbe sempre essere: bella nelle sue linee estetiche e bella per come riesce ad essere al servizio della funzione che deve assolvere. Il senso di una vita dedicata alla musica, che nella sua forza e consapevolezza riesce a tenere a bada anche la malattia e l’invalidità (e viene da dire sia per Masur che per Beethoven, entrambi sorretti dalla stessa musica in una vecchiaia che combatte con forza il destino). Il senso di un’arte capace di guardare oltre, rompere gli schemi del proprio tempo e diventare totalmente universale nella sua capacità di parlare a tutti senza mai diventare banale.

Infine, l’idea che tutta la musica che ancora ci circonda, ci gratifica, che siamo capaci di ascoltare e di apprezzare viene ancora tutta da un’idea geniale di un anziano completamente sordo.

E questa idea potrebbe dare il via ad una lunga serie di profonde considerazioni.

Ma sarebbero troppe e troppo lunghe.

In certi casi la musica è sufficiente a dire tutto, e a dirlo meglio.   

 

L. V. Beethoven, Nona Sinfonia
Orchestra e Coro dell’Accademia di Santa Cecilia – Direttore Kurt Masur
Roma, Auditorium Parco della Musica – Sala Santa Cecilia - Roma
24 Settembre 2010

Tutti gli eventi