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E il capitano dice al mozzo di bordo…

di Alessandro Borgogno - 26/5/2010

Entrano insieme, imbracciano l’armonica e il sax contralto, e attaccano una Over the rainbow sottile e penetrante, né completamente jazz né completamente soul. Una cosa loro, come è giusto che sia.

Eccoli di nuovo lì, Lucio Dalla e Francesco De Gregori insieme su un palco, circondati dai loro musicisti mischiati come se avessero sempre suonato assieme, a mettere insieme due storie lunghe e a tratti distanti, due musiche e due poesie assai diverse ma anche capaci di molti punti di contatto.

E nel giro di poche note (o di pochi giri di accordi) è nuovamente magia. Una magia totalmente differente da quella di quasi trent’anni fa, di quel Banana Republic che per primo in Italia riuscì a riempire gli stadi offrendo una novità assoluta sia nel sound nazionale che nel modo di riunirsi intorno alla musica.

Stavolta, maturi e totalmente professionisti, dimensionano il loro incontro per il teatro, anche se enorme come il Gran Teatro di Tor di Quinto a Roma.

La cavalcata, pur ripescando quasi tutti i successi più popolari e anche più lontani nel tempo, non risulta nostalgica. Suona invece come suonerebbero i valzer di Strauss al concerto viennese di capodanno. Pezzi che tutti conoscono a memoria, ma che vale sempre e per sempre la pena di riascoltare.

I due, ormai entrambi animali da palcoscenico navigati (anche il De Gregori ormai lontanissimo dall’orso impacciato che in molti per anni hanno voluto vedere), riescono ad essere distaccati e complici esattamente in egual misura. Scherzano quel tanto che basta e poi infilano pezzi facili e difficili con la stessa disinvoltura. Si scambiano canzoni e parti come se non avessero fatto altro negli ultimi vent’anni.

Dalla, un po’ più prevedibile nel suo ruolo più clownesco e venerdì perfino un po’ giù di voce, via via nel corso della serata riprende in mano quello strumento del tutto personale che è la sua voce fino a far squillare gli acuti della sua Caruso senza neanche un tremolio.

De Gregori, probabilmente più sorprendente, saltella sul palco soffiando nell’armonica neanche fosse Dan Aykroyd-Elwood Blues, e poi si prende il carico di tutti gli attacchi, anche quelli delle canzoni del compare (“Anna come sono tante”, “Siamo noi siamo in tanti…”, “Chissà, chissà… domani”) facendo venire voglia di sentirgliele cantare tutte.

Fusione perfetta su molti dei grandi pezzi di entrambi, da Titanic alla Leva calcistica (come sempre da brividi), da Nuvolari a Piazza Grande.

Quasi tre ore di concerto per le quali sarebbe ovviamente inutile snocciolare tutta la scaletta.

Si possono segnalare alcuni momenti particolarmente preziosi: una Com’è profondo il mare sontuosa, dove entrambi duettano senza perdere mai colpi né tono, una Donna cannone con un De Gregori che tiene la voce in modo impressionante per limpidezza nel silenzio assoluto facendo trattenere il fiato a tutta la platea, una Nuvolari rombante (almeno per chi, come il sottoscritto, considera “Automobili” il miglior disco in assoluto di Lucio), una Santa Lucia e una La sera dei miracoli mai così poetiche, un Agnello di Dio che fa piombare l’intero capannone in un boato di rock rabbioso e lucido senza che i due spacchino chitarre né si spostino di un centimetro dai loro posti.

C’è spazio anche per qualcosa di nuovo, un paio di canzoni appena scritte (una ironica Gran Turismo e una bellissima Non basta saper cantare) e un trascinante swing per una versione alla Thelonious Monk di Gigolò alla quale i due hanno dato un testo italiano quasi solo per poterci cantare sopra, visto come riesce ad essere, anche così, un gioco musicale, e solo musicale, di gran classe.

Un po’ al di sotto di tutto il resto un paio di inserti teatrali recitati da un giovane attore (Marco Alemanno), ma sarebbe ingiusto essere troppo severi. Con Don Chisciotte e Sancho Panza sul palco, per di più entrambi in gran forma, è davvero improponibile pensare di reggere qualsiasi confronto.

Insomma, una serata elegantemente perfetta, con due amici musicisti che sanno perfettamente quello che fanno, e che lo sanno fare.

Da quei due era difficile aspettarsi di meno. Ed è difficile chiedere di più. 

 

Dalla e De Gregori – Work in progress 2010
Roma, Gran Teatro
21 Maggio 2010

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