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Tutta la luce del Seicento

di Alessandro Borgogno - 17/3/2010

Diversi critici fanno risalire, probabilmente a ragione, la fine del Rinascimento italiano, almeno in pittura, con un quadro ben preciso. E’ il canestro di frutta, detto 'la fuscella', di Michelangelo Merisi da Caravaggio, normalmente esposto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano.

Altrettanto giustamente è questo il quadro che accoglie i visitatori della mostra da poco aperta a Roma, alle Scuderie del Quirinale, organizzata per celebrare i quattrocento anni dalla morte dello straordinario artista lombardo.

Il motivo dell’attribuzione di tanta responsabilità proprio a quel piccolo e luminoso esercizio di realismo e composizione pittorica si può riassumere, in modo necessariamente brutale, nel seguente concetto: con quel quadro viene definitivamente elevata la natura morta a soggetto di una rappresentazione, e la natura diventa senza possibilità di dubbio o interpretazione la protagonista unica del quadro, senza ombra di essere umano o di simbolo divino che ne faccia da tramite.

Nel vedere il quadro dal vivo, quello che non può non balzare agli occhi del visitatore è la straordinaria qualità della forma (simmetria e linee), della composizione (foglie che escono dal canestro bilanciando il peso delle forme), del punto di vista (ad altezza tavolo), dei particolari (parti di foglie consumate o accartocciate, parti ammaccate o bacate dei frutti) che rendono gli oggetti naturali più veri del modello.

Abbiamo già molte altre volte qui commentato capolavori del Caravaggio, anche di quelli esposti ora in questa mostra, e quindi non ci ripeteremo, anche perché la densità di straordinarie pitture che offre questo catalogo meriterebbe ben altro spazio e tempo.

Merita però fare qualche considerazione complessiva su una mostra ben allestita ed eccezionalmente organizzata considerando la compresenza di tele che vengono, oltre che da Roma, da Messina, Firenze, Milano, Londra, Vienna, Dublino, Nancy, Berlino, San Pietroburgo, New York, Fort Worth. Difficilmente capiterà di poterne rivedere così tante tutte insieme e in così splendida forma, il che rende già di per sé la mostra imperdibile.

Giustamente tenute in ambienti scuri che fanno risaltare tele e pale di legno con la giusta illuminazione, i circa venti capolavori esposti sui due piani delle Scuderie trasformano la visita in un viaggio attraverso i tagli di luce e gli squarci di emozione, spesso violenta, che ogni episodio apre allo sguardo.

Sebbene siano ben visibili le differenze fra le opere dei diversi periodi (giovinezza, maturità e fuga, discretamente sottolineate da tre diversi colori delle pareti che le ospitano) si potrebbe a buona ragione vedere tutto il percorso come un unico quadro. E allora si coglierebbe facilmente l’unità di stile e di visione di questo inarrivabile genio della luce. Scorrono sguardi languidi di giovinetti, sanguinosi omicidi, seppellimenti disperati, sacrifici fisici e morali, disperazione e riscatto in un unico fiume fatto di movimenti, di muscoli in tensione, di drappi rossi e bianchi drammaticamente contorti, di sguardi colti nell’attimo fatale della rivelazione o del baratro. Una sequenza ininterrotta di grandezze e di miserie umane costantemente in movimento, spinte frenate e distorte dalla forza della volontà, del tempo che irrompe, della luce che per un attimo riesce ad illuminare il buio delle loro anime.

Nulla di più e nulla di meno, cioè il massimo che si può chiedere ad una mostra di questo genere. Altrettanto condivisibile la scelta di non includere anche i quadri presenti nelle chiese di Roma e sempre visibili gratuitamente (a differenza di quanto fatto per la pessima mostra Caravaggio-Bacon pretestuosamente, e anche presuntuosamente, allestita poco tempo fa alla Galleria Borghese). Condivisibile non solo per la questione economica, ma perché nessuna altra collocazione può rendere loro migliore giustizia di quella naturale delle meravigliose chiese e cappelle romane che le ospitano da sempre (Cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo, Cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi e altare della Madonna dei Pellegrini a Sant’Agostino).

Possiamo citare fra i capolavori esposti, proprio perché difficilmente visibili in altre occasioni, la particolarissima Annunciazione (tema poco frequentato dal Merisi) proveniente da Nancy, l’impressionante Incoronazione di spine che arriva da Vienna, e forse più di tutte la straordinaria Cattura di Cristo nell’orto che viene da Dublino. Un’impressionante istantanea, quest’ultima, che ci riporta davanti agli occhi un episodio mitico in tutta la sua sconvolgente e realistica drammaticità, come se stesse accadendo proprio ora, con i moti dell’animo dei protagonisti in perfetta sintonia con i movimenti dei loro corpi, e una indescrivibile espressione sul viso del Cristo, mai vista in così perfetto equilibrio fra la disperazione e la consapevolezza dell’ineluttabilità del destino che si sta compiendo.

Conferma evidente e senza compromessi, questo quadro come l’intera mostra, di un genio della visione e della luce come se ne possono contare pochissimi altri in tutta la storia dell’arte prima e dopo di lui.

 

Caravaggio
Roma, Scuderie del Quirinale
20 Febbraio - 13 Giugno 2010

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