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Novecento, meglio sottrarre che aggiungere di Ilaria Scala - 12/10/2007 Novecento, da quando Baricco lo scrisse e pubblicò per Feltrinelli, lo abbiamo letto, visto e ri-visto. Anche al cinema, nella ridondante e retorica versione di Tornatore, che diede al pianista sull'Oceano il volto espressivo e sghembo di Tim Roth. Adesso torniamo a vederlo al Teatro Libero (un teatro delizioso, che è sempre un piacere frequentare), dove il mattatore ed istrione Corrado D'Elia lo reinterpreta con foga e passione. E' stato bravo? Sicuramente lo è stato a raccontare, perchè ci vuole bravura per catturare e mantenere l'attenzione del pubblico per un'ora e mezza con la sola forza della voce e del corpo, senza l'apporto di una scenografia ricca come quella cinematografica (né mare né navi né altri personaggi in scena, e nemmeno l'ombra di un pianoforte a coda, soltanto uno sgabello e due scatoloni, e cinque pannelli bianchi appesi al soffitto, accesi a intermittenza come una enorme tastiera). Corrado D'Elia è stato bravo a raccontare anche perchè ha modulato - come richiesto dall'opera che è, in effetti, un monologo ricco di eventi e variazioni - con la sola voce, con i suoi soli movimenti, togliendo e mettendo cappotto e cappello, diversi personaggi di diverse età e caratteri, diverse epoche ed emozioni, diversi episodi e mestieri, e così ha composto la storia: dal ritrovamento del neonato abbandonato sul pianoforte della nave, alla sua crescita sempre a bordo, al suo avvicinamento da autodidatta alla musica, alla sua incapacità di scendere a terra, anno dopo anno, fino all'epilogo metaforico e surreale. I punti di forza dell'interpretazione stanno tutti, dunque, nella narrazione per sottrazione: nella poca scenografia, nei pochi costumi, nell'attore solo, nella forma monologo in cui il protagonista è il cantastorie; nell'opera c'è già tanto, troppo, per poter aggiungere anche uno spillo senza rischiare la stucchevolezza: c'è troppa enfasi, troppe frasi a effetto, troppo compiacimento nel suscitare emozioni forti (il Pianista, il Più Grande Pianista del Mondo, un Fenomeno Inspiegabile, un Uomo Imperscrutabile, praticamente un Mostro). Ecco perchè Corrado D'Elia sbaglia ad aggiungere, a caricare, quando si fa prendere la mano: sbaglia a gridare, a saltare, ad agitare troppo le braccia, sbaglia a dare a Novecento la voce di un bambino autistico sospetto di omosessualità, sbaglia a cercare l'applauso laddove lo cercava Baricco, quando il racconto si faceva motto o slogan. Ecco, se a una scenografia spartana e ad una narrazione abile avesse corrisposto anche una recitazione più composta e "sottovoce", i personaggi sarebbero emersi in modo più forte e sobrio, e la storia - che è la cosa più bella dell'opera - avrebbe vinto, lasciando nel pubblico solo un'eco di malinconia, e nessuna emozione esagerata. (Ricordate Umberto Eco?, che in Apocalittici e integrati scrisse che la cultura bassa mira a provocare emozioni, mentre la cultura alta si accontenta di rappresentarle. Se Baricco puntasse in alto, dovrebbe rifletterci su).
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