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Una mostra, un libro: la nuova maniera di Filippo Napoletano (1589 - 1629)

di Lisa Della Volpe - 14/1/2008

Nelle cose picciole in particolare di fuochi, navigli et animali si fece reputare e stimare, et in certe stravaganze di scheletri d’animali fu molto osservato …”. Così Giulio Mancini scriveva nel 1617-21 a proposito di Teodoro Filippo de Liagno, italianizzato Filippo Andeli, soprannominato Filippo Napoletano (Roma 1589-1629).

A lui e alla sua attività fiorentina (1617-1621) è dedicata la mostra inauguratasi il 15 dicembre scorso a Palazzo Pitti a Firenze.

Non posso fare a meno di esprimere la mia emozione nel trovare riuniti tutti insieme, in due sale, dipinti e disegni straordinari realizzati per il granduca Cosimo II, e il mio stupore nel vedere alcune opere inedite rintracciate nei depositi dei musei fiorentini.

Filippo Napoletano, nato in realtà a Roma nel 1589, era intelligente pittore, specializzato in paesaggi e battaglie spesso in piccolo formato, che seppe cogliere e abilmente elaborare i linguaggi espressivi degli artisti nordici attivi a Roma e a Firenze, con i quali strinse spesso rapporti di collaborazione e di amicizia. Fu il primo a dipingere en plein air recandosi a Tivoli insieme a Breenbergh e ad altri olandesi; fu il primo a cimentarsi con soggetti inusuali e anche “pericolosi” per la tradizione pittorica italiana; mise la sua perizia al servizio della scienza realizzando la mirabile serie di scheletri umani e di animali per il naturalista Giovanni Faber di Bamberga, di cui Mancini ci ha fornito testimonianza.

Fu lui a inaugurare la “nuova maniera” di fare pittura, come scrisse Lanzi nella sua Storia pittorica dell’Italia, nel 1789.

Splendida la Merenda, il primo déjeuner sur l’herbe della storia; deliziosi i piccoli dipinti su diversi materiali (lineato d’Arno, ardesia), che rivelano grande perizia tecnica e un gusto tutto nordico per i dettagli; straordinarie le opere scientifiche come i Cedri, che hanno trovato giusta collocazione nel primo museo dedicato alla natura morta, a Poggio a Cajano.

L’inaugurazione della mostra è stata l’occasione della presentazione della poderosa e dettagliata monografia sull’artista a cura di Marco Chiarini: 134 dipinti, 276 disegni e la serie completa delle incisioni dell’artista (514 pagine, 260 €).

Non avendo ancora letto il volume, posso riportare alcune note desunte dall’accurata analisi fornita da Alessandro Marabottini alla presentazione del libro il 14 dicembre scorso. In particolare vorrei soffermarmi su alcuni argomenti interessanti.

Il dipinto - di straordinaria qualità - Accampamento di zingari o Villa di Mecenate a Tivoli, di Collezione Gualino a Roma, è definitivamente assegnato da Chiarini a Filippo Napoletano. In passato l’attribuzione oscillava da Filippo Napoletano a Bartholomaus Breenbergh, e, come è stato sottolineato, il dipinto costituisce la prova più evidente della stretta collaborazione tra i due artisti, i quali sceglievano la stessa ambientazione per le loro opere.

Tale attribuzione non mi convince del tutto: a sinistra compare la figura di donna incinta, venuta alla luce solo dopo un recente restauro che ha eliminato lo strato di pittura. E’ alquanto improbabile che un pittore come Filippo Napoletano, attento alle esigenze di mercato e in rapporto con cardinali e papi, abbia potuto dipingere un personaggio che potesse offendere il gusto del pubblico, in un paese in cui le scene di maternità erano tollerate solo in opere religiose. Oltretutto all’epoca erano in vigore i dettami in materia di arte stabiliti nell’ultima seduta del Concilio di Trento: la rappresentazione della donna incinta nel dipinto Gualino è una licenza che un pittore come Filippo Napoletano, a mio avviso, non si sarebbe concessa al contrario di artisti nordici certamente più liberi e più coraggiosi nelle scelte iconografiche.

Così come non mi convince l’assegnazione a Filippo Napoletano del fregio con le Storie di San Paolo del 1616 c. nell’omonima sala del Quirinale a Roma. I documenti di archivio indicano Agostino Tassi come responsabile della decorazione, ma sappiano che lo “Smargiasso” (come era soprannominato per essere un gran millantatore) era più un abile imprenditore che un “valentuomo” in pittura. Dal momento che era solito avvalersi di abili collaboratori, è possibile che anche Filippo Napoletano avesse lavorato sotto la sua direzione e che possa aver realizzato il fregio.

Non mi convince affatto, infine, l’attribuzione del dipinto con il Bivacco notturno al chiaro di luna della Fondazione R. Longhi di Firenze, a mio avviso opera dell'artista tedesco N. Knupfer.

Tralasciando le disquisizioni attribuzionistiche, certamente il libro e la mostra hanno il pregevole merito di assegnare finalmente a Filippo Napoletano, pittore fantasioso e originale, collezionista di rarità etno-antropologiche, il posto che gli spetta nel ricco panorama artistico della prima metà del ‘600: egli costituì la fonte alla quale moltissimi attinsero. Tra tutti citiamo Claude Lorrain e Salvator Rosa, che seppero cogliere la portata innovativa delle opere di Filippo ed elaborarla in modo originale.

 

Filippo Napoletano (1859 - 1629)
Firenze, 15 dicembre 2007 - 27 aprile 2008
Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Sala Bianca
Informazioni e prenotazioni:
Firenze Musei, Tel. 055 2654321
http://www.firenzemusei.it
http://www.polomuseale.firenze.it/mostre/mostra.asp

 

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