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Nonsolonero

di Armando Cereoli - 31/8/2005

Mi perdonerete se in questo mio racconto userò il termine "negro" ripetutamente, ma capirete subito che non è per disprezzo razzista. Anzi...

Sono convinto che nella pratica musicale, dire di un uomo che è negro non è la stessa cosa di dire che è semplicemente nero oppure di colore.

Maceo Parker per esempio è negro. Lo è nel colore della pelle, nell'attitudine e nello spirito musicale che incarna.

Fa la sua comparsa sul palco in doppio petto, cravatta moderatamente vistosa e occhiali scuri. Avanza al centro della scena con atteggiamento quasi indifferente al pubblico che lo acclama, la mano destra delicatamente poggiata sul sax che porta al collo. Quell'oggetto di ottone tra poco sputerà fiamme.

Il mondo musicale di Maceo è negro; è stato sassofonista di James Brown, dei Funkadelic, dei Parliament, tutta gente che non aveva solamente la pelle di colore scuro ma che era e continua ad essere qualcosa di più.

Sono negri anche tutti i suoi musicisti, fino al midollo, tutti in gilet e cravatta, secondo il più classico rituale soul. Tra loro l'immancabile bassista da 120 chili, la vocalist matronale e la sezione fiati esplosiva.

Parte la musica e subito penso che per suonare funk in questa maniera si deve essere per forza negri.

Un bianco, per quanto bravo, non può riuscirci. Punto.

E' una questione di talento naturale e non lo affermo per rispolverare il solito adagio sui neri che hanno il ritmo nel sangue.

Maceo soffia forsennatamente nel sax, strabuzza gli occhi, ora liberi dagli occhiali scuri, grida, balla e comanda la sua band. Le luci di scena accendono le abbondanti stille di sudore sul suo capo glabro come tante piccole lampadine, ora rosse, ora blu, ora bianche. Alla sua destra gli uomini della sezione fiati alternano con compostezza fraseggi e coreografie, seguendo l'estasi creativa di Maceo, al centro perfetto di un crocevia di strade che provengono da jazz, blues, swing e naturalmente funk. Il pubblico non può resistere; da platea ordinatamente seduta si trasforma in breve in massa disordinata e danzante. La festa è cominciata.

Non si può parlare di canzoni nel senso più comune del termine; il cantato non è realmente funzionale al brano se non nella sua espressione ritmica. In questo senso ogni parola è una scusa, un pretesto per dare un battito al pezzo.

Pass the peas, passa i piselli, una frase senza senso compiuto al di fuori della cucina di un ristorante; ma provate a scandirla ritmicamente e gli avrete dato un perchè, avrete colto il senso della scusa: dare una scansione, il primo movimento del groove, l'avvio di un motore che una volta partito trascina tutto dietro.

Sono più di due ore di ritmo forsennato, spezzate solo da un intenso omaggio di Maceo ad un altro grande negro: Ray Charles.

Georgia on my mind, intramontabile come sempre, sfuma dolcemente per lasciare posto di nuovo al groove.

Alla fine, resto un po' stordito al centro dell'arena, mentre il pubblico lentamente si ritira verso l'uscita. Da rockettaro convinto sono abituato agli ascolti "forti", alle esibizioni potenti. Ma qui è un'altra storia e non è una questione di volume... Ogni volta che sento suonare così mi ritrovo a riflettere su secoli di storia e quasi a giustificare chi una volta perseguitava la musica nera come la musica del demonio.

E' vero. C'è qualcosa di viscerale in essa che ti prende nell'intimo e ti fa muovere, argomento più che sufficiente per risvegliare superstizioni ancestrali.

Prima di andarmene mi avvicino al palco per stringere la mano al batterista che raccoglie il giusto plauso per aver girato a pieni giri. "Great, man!", e mentre pronuncio queste parole non posso evitarmi un poco di frustrazione, perchè so che anche con anni di pratica e studio non suonerò mai così.

Me ne vado con in testa un desiderio inquietante: vorrei essere negro anch'io, accidenti...!
 

Maceo Parker Live
Roma, 13 luglio 2005, Arena La Palma

discografia consigliata:
Maceo Parker, Life On The Planet Groove (live), 1992
Maceo Parker, Dial M-A-C-E-O, 2000

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