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...to whom it may concern

di Beppe Giuliano - 14/3/2005

Da buon provinciale, arrivo a Torino con un paio d'ore di anticipo, e allora vado subito al Teatro Colosseo per ritirare il biglietto acquistato sull'internet.

Sono lì alla biglietteria e entra nel teatro Graham Nash.

Resto a guardarlo con - non mi vedo ma ne sono certo - in viso il sorriso ebete da foto per il documento di identità (la versione in cui si sorride ebeti, appunto, non la versione segnaletica).

Potrei dirgli qualcosa come «Welcome mister Nash!» oppure «Thank you mister Nash!» (il ringraziamento, ovvio, è per la musica - il punto esclamativo è, in entrambi i casi, necessario, trattandosi di Graham Nash "in persona"). Potrei addirittura osare e chiedergli un autografo, anche se lui sta entrando nel teatro con passo spedito e con l'aria di uno che sarebbe infastidito da una richiesta di autografo.

Invece no: l'unica volta in vita mia che incontro, diciamo faccia a faccia, Graham Nash, me ne sto lì con un sorriso ebete e lo guardo andare via. Tipico.

(Comunque ha ragione mia madre, che lo ha visto in tivù ed è estasiata: Nash è ancora molto molto bello).

Lievemente deluso, realizzo che non si sposta insieme a Crosby: come se essere Crosby "and" Nash implicasse esserlo per tutto il giorno, non solo sul palcoscenico, come si trattasse di un legame migliore del matrimonio e non di due cantanti che lavorano insieme.

Attendendo l'inizio del concerto, tipicamente, acquisto la t-shirt del tour per ben venti euro. La ragazza mi chiede di che misura e subito butto lì icselle. Me la fa vedere e ci starebbe dentro il pivot del Simmenthal, così ripieghiamo su una elle (non penso di crescere più, le dico, e lei finge di sorridere alla battuta, visto che ancora deve concludere la vendita).

Arriva Remo, ci abbracciamo, gli racconto del mio incontro con Nash e ci auguriamo che anche Crosby sia arrivato al teatro sano e salvo (con Crosby non si può mai sapere).

Si spengono le luci, i musicisti entrano in scena e si presentano con una versione bella tirata di Military Madness di Nash. "Military madness is killing our country": una dichiarazione iniziale non male, no?

Quindi concedono alla platea due classici: Marrakesh Express e Long Time Gone.

La prima parte del concerto risulta molto piacevole, con una ottima scelta del repertorio e assai ben suonata. Li accompagnano l'eccellente Dean Parks alla chitarra - e suonerà pure la pedal steel, che meraviglia, non la sentivo dal vivo da moltissimo tempo -, il figlio ritrovato di Crosby James Raymond alle tastiere e - vivaddio - una sezione ritmica (Andrew Ford e Steve Distanislao) precisa e non invadente.

Dopo un'ottima Carry Me, mentre Nash introduce il brano successivo Jesus Of Rio, Crosby abbandona momentaneamente il palco e tutti gli spettatori pensano la medesima cosa. Quando portano in scena un piano elettrico e Nash vi si accomoda, spero che non stia per fare Our House (che, lo anticipo, non mi verrà risparmiata, e arriverà con i bis). Invece offre una versione molto efficace di Cathedral.

La prima parte del concerto sta avviandosi a conclusione con una ispirata Deja Vu ma Crosby, a metà circa del brano, posa lì la chitarra e abbandona il palco. Sconcerto. Si è incazzato per un qualcosa che, almeno a me, è sfuggito, andandosene platealmente (alla Van Morrison, dirà Remo)? Riappare fugacemente per cantare We have all been here before due volte e ci lascia nel dubbio: ci sarà una seconda parte del concerto?

Intervallo, coda al bar, valuto l'età media degli spettatori: situabile tranquillamente attorno ai quarant'anni, con qualche raro ragazzino che dà l'impressione di avere sbagliato locale o serata.

Si rispengono le luci, la seconda parte (almeno) inizia, anche se sul palco, per i primi due brani, c'è il solo Nash.

Crosby si riaffaccia e ripete parecchie volte «Sorry, I'm sick», facendo fino alla fine dello show soprattutto la spalla al socio, anche se la versione di Guinnevere si lascia ascoltare ben piacevolmente (e ci regalano una Wind On The Water superlativa).

Lo spettacolo finisce con una Wooden Ships discreta (si rompe pura una corda dell'elettrica, al baffone: non è serata, evidentemente) e due bis: la temuta Our House e una Teach Your Children per cui ci viene chiesto di essere tutti Crosby, e quasi tutti gli spettatori suppliscono infatti al malanno del nostro cantando il ritornello in coro. Non posso non pensare con un po' di tristezza che il testo, decisamente generazionale, di una canzone scritta trentacinque anni fa, oggi pare fuori luogo in bocca a due sessantenni.

Si accendono le luci, ce ne torniamo a casa.

...to whom il may concern è un verso della canzone Just A Song Before I Go e mi sembra un titolo adeguato al resoconto della serata. E io, dear mister Nash, nel caso dovesse leggere queste poche righe, son quello che guardandola sorrideva ebete.

 

Crosby and Nash Live
Torino, 7 Marzo 2005, Teatro Colosseo

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