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Non arrendersi per nessun motivo al mondo

di Ilaria Scala - 19/1/2005

Il palco è grande e semplice. Unico addobbo, tante luci a forma di banda verticale sospese nell'aria, e accese ora di bianco, ora di giallo, ora di azzurro, oppure di tanti colori intermittenti.

Sopra il palco, un maxi-schermo rettangolare, orizzontale, lungo quasi quanto il palco stesso, ove si alternano riprese dello spettacolo, primi piani virati in bianco e nero o moltiplicati per tre, colorati di rosso bianco e blu come in un moderno delirio di Warhol.

Prima canta Joseph Arthur, praticamente al buio, da solo con la chitarra acustica e accompagnato dal batterista dei REM (Bill Rieflin) e da Peter Buck per le canzoni più importanti. E' bravo, forse, ma la voce non gli basta per tutta l'esibizione, e il pubblico in trepida attesa non lo sostiene.

Verso le 22 entrano in scena i R.E.M.: Michael Stipe lancia alla folla la coppola di tweed e mostra la benda di trucco nero intorno agli occhi, quasi una maschera da condannato a morte. Un condannato ancora pieno di energie, visto lo sguardo spalancato e vispo, l'elegante gessato grigio scuro, la voce potente e aggraziata, e i movimenti che lo rendono ormai inconfondibile per chiunque lo abbia visto esibirsi nei concerti o nei video.

La band attacca con Finest Worksong e prosegue con altre canzoni energiche degli esordi (tra cui una chicca dell'84, mai eseguita in Italia: Seven Chinese Brothers dall'album Reckoning).

Poi è la volta di alcune canzoni tratte dall'ultimo album: Boy in the Well, Aftermath, la splendida e dissonante The worst joke ever, e infine Leaving New York, dedicata a quella che Stipe definisce "my second Home", accompagnata dalle immagini del videoclip e cantata a gran voce da tutto il pubblico.

Una parentesi di riflessione politica arriva con Final Straw, il cui testo scorre sul maxi-schermo a mo' di struggente karaoke, per attirare l'attenzione anche dei più distratti su versi come

"And love... love will be my strongest weapon.

I do believe that I am not alone."

Il concerto decolla con le canzoni più conosciute, e che non mancano mai: Imitation of life, Drive, Losing my religion, The one I love. Walk unafraid si conferma una delle canzoni meno passate dalle radio eppure più amate dal pubblico: la collaudatissima intro che scandisce il ritornello-motto ne fa un inno rock di resistenza umana.

Oltre ai bis previsti (Bad day e The great beyond, solo per citare i più attesi), oltre alla chiusura definitiva con la solita e grandiosa Man on the Moon, spiccano due inediti, che Stipe presenta come "la nostra canzone più vecchia e la nostra canzone più nuova". La prima è Permament Vacation, datata 1979, leggera e trascinante; la seconda è I'm gonna DJ, recentissima e forse da inserire nel prossimo album, cattiva e punk come ai tempi di Monster.

Una nota di attualità: questo è stato il primo concerto dei R.E.M. in Italia dopo la rielezione di Bush a Presidente degli USA. Stipe, a nome del gruppo, ci tiene a spiegare al pubblico come ci si sente quando non si è d'accordo con le azioni del proprio governo. Scandisce bene le parole perchè anche i meno anglofoni riescano a comprenderlo:

"My country is a country where sometimes people like me find themselves - lost."

Prima dell'ultima parola, una breve pausa che pesa come un macigno. Per Michael Stipe, l'unico invito possibile per questo 2005, rivolto prima a se stesso e poi a tutti quelli che la pensano come lui, è "not giving up".

Non arrendersi per nessun motivo al mondo.

 

REM Live
Milano, 15 Gennaio 2005, Filaforum di Assago

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