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A freddo, sulle vittime dell'ultimo attentato a Kabùl

di Ilaria Scala - 6/10/2009

E' cosa giusta e sana che l'attentato di Kabùl in cui il 17 settembre hanno perso la vita 6 soldati italiani spinga l'opinione pubblica a riflettere sul dolore che le iniziative militari (non chiamiamole né guerre né missioni di pace, per evitare strumentalizzazioni) possono provocare nella società civile ma soprattutto nelle singole famiglie. Perchè ogni singola vita è preziosa, e la morte di ogni singolo giovane è una grave perdita.

Però.

Però lo sproloquiare dei politici ("Ritiriamoci, allora!" "Non possiamo, ancora!" "Lo Stato vi è riconoscente per la vostra abnegazione e il vostro coraggio." "Funerali di Stato!" - manco si trattasse di Mike Bongiorno), lo sgomentarsi dei media (mica i commentatori o gli inviati di guerra: i più sgomenti sono sempre i giullari radiofonici, i comici fuori luogo, le viteindiretta, i quizzaroli, le ballerine e i nani), i rigurgiti d'opinione della strada ("Ritirateli, allora!" "Non possiamo, ancora!" "Quei poveri ragazzi, le povere famiglie..." "E dire che in tanti si fanno militari per non restare disoccupati!"), tutto questo coro di CT della Nazionale prestati alla geopolitica sembra dimenticare che le guerre implicano - per definizione - la possibilità della morte: che ci si trovi in missione di pace o a fare i giornalisti o le crocerossine poco conta.

La guerra comporta orrore e sangue, che possono essere evitati soltanto evitando di recarsi dove si combatte, per quanto nobile sia la causa per cui lo si fa.

Quindi, delle due l'una: o ci si strappa le vesti tutti i giorni, si fanno le edizioni straordinarie e i portapporta, si abbassa la voce nei rotocalchi, si accantonano i lustrini nei varietà per ricordare che la nostra nazione è in guerra (anche se non attacca, anche se è mossa dalla buona intenzione di portare la pace in Afghanistan) e che per questo dei ragazzi italiani rischiano la vita in un paese straniero; oppure si continua tutto come prima, dando conto delle perdite come è doveroso (20 vite umane, in questa guerra; nella Prima Guerra Mondiale furono 680.000*, nella Seconda 415.000**), ma senza lo sbalordimento di chi non pensava potesse mai accadere, senza l'indignazione di chi lo ha sempre detto, che le truppe italiane andavano ritirate.

Per risparmiare alle 6 vittime italiane del 17 settembre (e a tutte le altre) - almeno - l'ipocrisia.

 

*Fonte: http://cronologia.leonardo.it/mondo23a.htm

** Fonte: http://www.liberliber.it/biblioteca/g/galassi/la_costituzione_e_le_vicende_politico_istituzionali_ital_etc/html/c_app1.htm

 

 

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