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La classifica dei più pubblicati

di Lisa Della Volpe  - 4/8/2006

I 15 più visti

David Galenson, esperto in Art economics a Chicago, ha pubblicato uno studio sbalorditivo: ha contato quante volte viene riprodotta l’immagine di opere del XX secolo sui più famosi libri di storia dell’arte dal 1900 in poi, al fine di misurare la portata innovativa dell’opera stessa e di valutare la genialità dell’artista in rapporto all’età in cui produsse il capolavoro. Il risultato è una lista di 15 opere in cui il primo posto è occupato da Picasso (1881-1973) con le sue Les Demoiselles d’Avignon (1907), dipinte quando l’artista aveva meno di 30 anni.

La parola al Sole 24Ore

In una recensione di Francesco Daveri, professore ordinario di Istituzioni di Economia Politica all’Università di Parma, uscita sull’inserto culturale del Sole 24Ore di domenica 23 luglio 2006, il lavoro dello studioso americano viene presentato come un esperimento geniale e inconsueto. Scrive Daveri: «Interpretare le opere d’arte come fossero innovazioni è una bella idea», e «il contributo di un artista non può essere valutato in sé, semplicemente sommando le sue opere nel corso della sua carriera, ma solo in relazione al suo Impact Factor», che sta per – detto in gergo comune ma appropriato – influenza che l’opera di un artista ha avuto sugli altri.

Solo per scrupolo finale, l’autore della recensione invita a rivolgersi agli esperti per commisurare il valore dell’opera, tralasciando anche le valutazioni di mercato, dato che opere come la Gioconda non saranno, si spera, mai vendute, e dovrebbero essere - quindi - non valutabili.

Questione di punti di vista

Si dimentica troppo spesso che l’arte e la storia dell’arte sono fatte da persone, e lo studio di Galenson, che cerca di misurare la portata innovativa e rivoluzionaria delle opere d’arte con criteri oggettivi, non tiene conto che spesso gli storici d’arte creano dei miti intorno agli artisti per puri interessi campanilistici o commerciali: è nota la questione della supremazia della pittura rinasciamentale fiorentina sulle altre espressioni territoriali del periodo (Roma, Napoli, Venezia), che nasce dalla visione campanilista di Giorgio Vasari, che tuttora, sebbene a fatica, si cerca di superare. Ed ancora: capita che nella seconda metà del 1800 i Nazareni riscoprano i primitivi italiani (tra tutti Beato Angelico) perchè ritengono, con un pesante e duraturo errore di valutazione, che il Medio Evo, in quanto periodo di sicurezza spirituale, abbia prodotto un’arte pura. Ed ecco svilupparsi la tendenza all’acquisto dei primitivi, con revivals che arrivano agli anni ’50 (la conseguenza macroscopica è stata lo spoglio delle chiese soprattutto umbre, marchigiane e abruzzesi, non adeguatamente censite nè schedate). O capita anche che lo studioso, per pura antipatia, “dimentichi” di citare o demolisca del tutto artisti di cui un suo avversario si occupa per il solo gusto di denigrare il lavoro altrui. È nota, ad esempio, l’antipatia fortissima che Vittorio Sgarbi nutriva per Federico Zeri, per ragioni del tutto personali (vi invito a leggere, in proposito, V. Sgarbi, Davanti all’immagine, BUR 2005, in particolare il breve capitolo in appendice dal titolo “Federico Zeri: in memoriam”. Il titolo del libro è parafrasato dal più famoso Dietro l’immagine. Conversazioni sull'arte di leggere l'arte di F. Zeri).

Senza contare le questioni squisitamente commerciali: le opere possono acquistare valore in proporzione all’importanza del critico che ne scrive le recensioni.

Il risultato è che tutto ciò che viene prodotto, discusso, analizzato, studiato potrebbe essere distrutto, svilito, annullato o dimenticato da altri, indipendentemente dalla visibilità, ossia dall’importanza del mezzo di comunicazione utilizzato, dal prestigio della rivista o dalla rete di commercializzazione della casa editrice. Caso emblematico: Erwin Panofsky non ha mai citato nelle sue opere Roberto Longhi. Forse non ha mai letto nulla di Longhi e si è perso anche tutto ciò che di buono ha prodotto. Probabilmente anche gli allievi o i critici della stessa linea di Panofsky avranno seguito l’esempio.

L’opinione di chi non fa economia

Ne consegue che le fonti usate da Galenson potrebbero essere imprecise, inesatte, fuorvianti e sicuramente soggettivissime. E allora l’intero studio ha ben poco di scientifico, e a nulla serve la classifica per valutare l’Impact Factor di Picasso. Dal momento che sia lo studio americano sia la relativa recensione italiana sono opere di esperti in economia, voglio sperare che i risultati siano più utili a loro. A noi non rimane altro che constatare che gli americani hanno abbastanza risorse per finanziare ricerche del genere, mentre in Italia non si trovano i soldi per mantenere aperta la Biblioteca Nazionale o per comprare nuovi testi e schedarli per renderli accessibili al pubblico, con il rischio di “invecchiamento della cultura” (vedi Il Sole 24Ore di domenica 30 luglio 2006).

D. Galenson, Old Masters and Young Geniuses: The Two Life Cycles of Artistic Creativity,
Princeton University Press, 2005

Il primo capitolo della ricerca: http://www.pupress.princeton.edu/chapters/s8019.html
http://www.nber.org/papers/w11899
http://www.nber.org/papers/w12058
http://www.nber.org/papers/w12185

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