editoriali

 

E se si preferisse semplicemente il cinema?

di Alessandro Borgogno - 25/2/2005

Alessandro risponde al direttore sul confronto tra cinema USA e cinema italiano.
Per contraddirlo, naturalmente.

Era inevitabile: non sono d’accordo con il nostro direttore.

Ossia…in realtà condivido quasi totalmente il giudizio sull’attuale cinema italiano, che trovo veramente ripiegato su se stesso a guardarsi (e a riprendersi) la punta delle scarpe, però così è troppo facile, decretare la supremazia USA in campo cinematografico confrontandola con il nostro cinema attuale significa vincere senza neanche giocare.

In ogni caso però non ritengo che il confronto con il cinema d’oltreoceano sia adeguato, almeno per quel che riguarda gli esempi riportati.

Mi spiego. Citare come gioielli a sostegno della tesi film come I Tenembaums, La sicurezza degli oggetti, e altri film simili, mi sembra la strada sbagliata. Non perché non siano effettivamente gioiellini, ma perché mi sembrano esattamente la versione statunitense dei nostri. Cioè, storie minimaliste di qua, storie minimaliste di là, con la differenza che di là solitamente fanno le cose meglio, con più soldi sicuramente ma anche con maggiore attenzione alla “fattura”, appunto.

La vera differenza che io trovo, o più che altro la vera mancanza di cui soffre il cinema italiano, sta nel coraggio e nella capacità di raccontare e rappresentare storie “forti”, non minime. E quello è il coraggio che normalmente invece ha il cinema USA, nove volte su dieci sparando talmente alto da diventare pallonari, ma ogni tanto centrando quelle storie che riescono ad essere al tempo stesso forti, ben raccontate, di ottima fattura e perfino emozionanti. E’ il caso del Clint Eastwood di Mystic River e anche de I ponti di Madison County, una storia talmente stile Harmony che in mano a qualsiasi altro sarebbe stata insopportabile, in mano ad uno dei registi italiani del momento sarebbe stata una catastrofe, e invece in mano a quel maledetto cowboy è diventato un film superiore, perché ha avuto il coraggio di puntare comunque al cuore, ma senza dichiararlo ad ogni inquadratura, e finendo così per colpirlo davvero, il cuore (ma Eastwood ha imparato,e saputo imparare, da gente come Sergio Leone, un italiano che il coraggio di puntare in alto ce l’aveva, accidenti se ce l’aveva).

Trovo giusto il riferimento a Bellocchio e ad Avati, e per me c’è un motivo preciso, sono registi che hanno ancora il coraggio di sbagliare, non rimangono sempre a mezz’acqua per paura di esagerare, vanno oltre, e magari sbagliano, ma se ci azzeccano vincono. Avati poi ha un vantaggio incolmabile su tutti gli altri (americani compresi): racconta e filma storie minimaliste da quarant’anni, ha cominciato in tempi non sospetti, e si vede che sa farlo e non è condizionato dalla tendenza del periodo, si vede anche quando il film non gli riesce come dovrebbe, o vorrebbe.

Insomma, a me pare che in realtà le tendenze generali fra USA e Italia non siano così diverse, e a parte il settore kolossal-spettacolare, insomma il molti soldi-molti effetti, che a noi manca totalmente (ma a cui ad esempio si sta dedicando da qualche anno il cinema francese, con risultati alterni, sì, ma almeno ci provano), spesso la sola differenza sta proprio nella tecnica, nella perfezione della fotografia, del montaggio, della messa in scena, ma lo sappiamo tutti benissimo che anche se quello è il livello minimo che ci si aspetta da film che costano cifre spaventose (anche quelli italiani), non è quello che fa diventare un film un’opera d’arte. Fra gli “americani”, ad esempio, trovo sempre apprezzabilissimi i fratelli Cohen, che anche quando girano un film con la mano sinistra hanno un tale senso estetico e una purezza formale degna del miglior Fellini, e almeno ad invenzioni visive non si risparmiano mai, e hanno almeno la decenza, anche quando girano storielline, di spendere i soldi per soddisfare adeguatamente almeno gli occhi degli spettatori. Fra i nostri sembra che anche chi ha, o avrebbe, ottime doti almeno in campo visivo abbia paura di usarle, e se ogni tanto le usa sembra che lo faccia di nascosto, sperando di non essere visto.

Il fatto è che secondo me i film americani che azzeccano la storia spesso la azzeccano perché magari la storia di partenza (solitamente il libro) è buona e in certi casi anche geniale, poi però di solito non riesco a trovarci nessun valore aggiunto dal punto di vista cinematografico, se non la messa in scena impeccabile ma spesso talmente impeccabile da essere sterile.

In quanto a valore cinematografico, trovo che gli USA non siano meno vigliacchi di noi, e anche lì per vedere cose veramente notevoli ci vogliono le eccezioni (Eastwood, Cohen, Spielberg quando si sente libero di fare quello che vuole e tira fuori apparenti scherzetti come Prova a prendermi), ma nel complesso, anche tenendo conto dei diversissimi livelli di qualità tecnica e soprattutto di quantità, il coraggio e l’originalità non solo non sono parte integrante, ma direi che non vengano proprio minimante incoraggiati dal sistema americano.

Riprendendo il discorso già accennato nella recensione fatta per 36, anche quando ogni tanto ci sono di mezzo i soldi americani per vedere qualcosa di originale ci vogliono di solito registi che vengono da “fuori”. Oppure, ancora peggio, perfino registi americanissimi come Brian De Palma se vogliono fare quello che gli piace (anche con la possibilità di sbagliare) devono andare a cercare i soldi da produttori francesi o arabi. Del resto la faccenda è storica, e magari ripassare un po’ di nomi dei più grandi registi “americani” di tutti i tempi (fra quelli che hanno veramente cambiato la storia del cinema) non fa male: Alfred Hitchcock (inglese), Ernst Lubitsch (tedesco), Fritz Lang (austriaco), Billy Wylder (austriaco), Charlie Chaplin (inglese), John Ford (nato in USA ma praticamente irlandese), William Wyler (franco-tedesco), Frank Capra (italiano!), o più recentemente, Milos Forman (cecoslovacco), perfino Ridely Scott è inglese!, e chissà quanti altri ne dimentico o non ne so.

Inoltre, anche volendo colpevolmente tralasciare Sergio Leone, il più bel western di tutti i tempi (Mezzogiorno di fuoco), è di… Fred Zinnemann (un altro austriaco!).

Certo ci sono le eccezioni anche in questo caso, ci mancherebbe. Per esempio Stanley Kubrick è nato negli USA, però tutti lo pensano inglese (sarà un caso?), e comunque lui per primo si è ritirato in Inghilterra quasi subito e ha sempre voluto far film al di fuori del sistema hollywoodiano, e poi Orson Welles, che certamente era americano al 100%, e infatti a parte il primo miracoloso film (perché ha fregato tutti dato che nessuno si aspettava che facesse un film così), in seguito non è più riuscito a fare un solo film senza avere difficoltà a trovare i soldi, i mezzi, addirittura per portarli a termine (è uno dei registi con il maggior numero di progetti incompiuti), e per riuscire a racimolare soldi per realizzarne alcuni si è messo a recitare da attore in qualsiasi film o filmaccio gli capitava.

Ah! Sopratutto in film europei, naturalmente… 

 

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