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Storia di un valzer

di Alessandro Borgogno - 8/7/2007

Quella che più volte, con molte buone ragioni, è stata definita la più grande canzone di tutti i tempi, ha una storia che, com’è inevitabile, mescola verità e leggenda.

Al di là delle mille ricostruzioni e interpretazioni, però, alcuni fatti sono fatti, e bastano ed avanzano ad aggiungere quel tocco di mito ad un pezzo che da solo ha cambiato la storia della musica rock e folk (e poi basta con i generi: ha semplicemente cambiato la storia della musica), tracciando una linea netta dalla quale tutti, nessuno escluso, sono stati costretti a ripartire.

Il primo fatto, testimoniato da una registrazione originale del 1965 (la più grande canzone di tutti i tempi ha esattamente la mia età!) e purtroppo limitata alla prima strofa, è che la canzone rock per eccellenza è nata non in quattro quarti come la conosciamo tutti, ma bensì in tre quarti. Quindi, udite udite, era un valzer! E per quanto sia passata alla storia con un altro tempo, probabilmente il suo tempo più giusto, era già assolutamente straordinaria anche così, e ascoltarne questo spezzone inedito è già di per sé un’emozione unica (recentemente pubblicato in un cofanetto di rarissimi bootleg, da non perdere).

La storia, riportata dallo stesso autore, racconta che egli, già famoso come cantante folk e già incoronato dagli appassionati del genere come unico vero erede di Woody Guthrie, da poco accusato senza mezzi termini di tradimento per il suo primo tentativo di utilizzo di strumenti elettrici, deluso dalle prime critiche ma per nulla scoraggiato dal proseguire una strada che considerava l’unica vera possibile rivoluzione musicale dell’epoca, abbia trovato i primi accordi velocemente al pianoforte, in particolare il ritornello.

Poi il menestrello ha cominciato a cantarci sopra, con quella voce unica al mondo, e cantandoci ha trovato una strada fino ad allora inedita: iniziare linearmente, quasi sommesso, poi salire con la voce lungo la strofa, aumentando il tono e l’aspettativa, innalzarsi su un dirupo e poi lanciarsi giù in quel ritornello ciclico, dove il giro degli accordi e il suono delle parole iniziavano a creare una sensazione di ritmo e di cantilena riconoscibile, trascinante e dalla quale non si poteva scappare. Era nata la canzone moderna.

Scrisse tutto il testo, straordinario, poetico e durissimo al tempo stesso, raccontando di una ragazza benestante che via via si trova a percorrere strade sempre più “basse”, rimbalzando da un luogo all’altro, senza una casa dove tornare, senza una direzione, come una perfetta sconosciuta, come una pietra presa a calci lungo la strada…

La registrò su un nastro con il suo gruppo al termine di una session e la portò al suo produttore.

La canzone aveva un altra particolarità, assolutamente inedita: era lunga sei minuti e oltre. Era la prima volta che qualcuno azzardava una tale lunghezza per un singolo brano. Nessuna radio l’avrebbe passata.

Ovvio però che un'opera d’arte così geniale non avesse certo da temere dalle convenzioni, che fossero culturali o commerciali.

Il produttore l’ascolto e riascoltò per tutta la notte continuando a ripetere “Wow, perdio, quasi non riesco a crederci…”

Un altro manager della Columbia Records, presente all’evento, disse: “Sarà un singolo da hit parade e non può essere tagliato” Così facendo prese in contropiede la casa discografica che per motivi di passaggi radiofonici avrebbe subito tentato di accorciarla. Proprio così, disse: “Deve restare così, l’accetteranno così lunga, non c’è alternativa!”

Così fu.

Nel giro di un anno era la canzone più clamorosamente famosa del mondo, e il titolo di “più grande canzone di tutti i tempi” continua ad essergli attribuito ancora oggi ciclicamente da tutte le possibili accademie, associazioni di critici, siti internet, l’ultima solo in ordine di tempo in una classifica sulle opere d’arte (di qualunque genere) che maggiormente hanno cambiato la storia.

A ricordare oggi il suo momento creativo del 1965,quando aveva ancora solo 24 anni, il suo autore dice semplicemente: “L’ho scritta. Non mi sono sbagliato. Era ok”.

E forse non c’è descrizione migliore.

Tutti la conoscono, tutti la riconoscono, e se c’è ancora qualcuno che per caso non l’ha mai sentita (e si fa fatica a crederci) è bene che sappia che non è vero, perché tutta la musica che ha ascoltato e che ascolta la contiene, la omaggia e ne è debitrice, ad ogni nota.

L’autore è Bob Dylan.

La canzone è Like a Rolling Stone.

La musica, da allora, non è più stata la stessa.

 

B. Dylan, Like a Rolling Stones,
in "Highway 61 Revisited", 1965

per il testo e una traduzione: http://www.riflessioni.it/testi_canzoni/bob_dylan_2.htm

La versione iniziale in ¾ è in B. Dylan, "Bootleg Series: Rare & Unreleased, 1961-1991"
3CD, Columbia, 1991

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