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Ecco la storia di Hurricane...

di Alessandro Borgogno - 10/8/2006

E’ una canzone sola, ma da sola scrive un capitolo intero della storia della musica pop.

E’ famosa, ma mai abbastanza.

Si intitola Hurricane, che vuol dire Uragano, ma non parla di un vero Uragano. L’ha scritta e cantata, e ancora la canta, Bob Dylan, che è uno dei più grandi poeti del secolo passato e di quello attuale. Esiste anche un comitato che da anni cerca di fargli assegnare il Nobel per la Letteratura. Hanno ragione.

E se si ascolta con attenzione Hurricane, possibilmente nella sua versione originale, si capisce perché.

Quello che serve sapere del testo è che parla di un uomo, Rubin Carter soprannominato Hurricane, pugile di colore che stava per diventare campione del mondo dei pesi medi, ingiustamente accusato di omicidio e tenuto in carcere, senza prove e senza colpa, soprattutto perché negro.

Dylan scrive e urla questa canzone nel 1976, nel pieno della vicenda umana e giudiziaria (Carter è già in carcere da dieci anni, dal 1966, e ancora non c’è verso di far prevalere la giustizia sui pregiudizi e sulle convenienze politiche. Tornerà libero, completamente scagionato da ogni accusa, solo nel 1988), prendendo posizione inequivocabile, stile Zola, contro il razzismo e contro la palese ingiustizia di quell’America.

E questo basta. Per il resto, cercare di capire le parole dal modo ingarbugliato e strascicato in cui le canta Dylan è impresa inutile oltreché disperata. Ma basta cogliere ogni tanto qualche frase inconfondibile, tipo “Champion of the world” o “Nigger”. Tutto il resto lo fa la canzone in quanto tale, il modo di raccontare cantando e di raccontare in modo unitario e coerente con tutti gli altri strumenti (musicali e non) scelti per raccontarlo.

(Se poi interessa la storia vera, c’è il recente film omonimo, fortemente voluto prodotto e interpretato da Denzel Washington, ma vi assicuro che nulla può indignare e stimolare la curiosità più della ballata del menestrello del Minnesota.)

Inizia con due accordi di chitarra, andanti, puliti e quasi svogliati. In realtà è solo perché stanno partendo da fermi per avviarsi su una strada lunga, dritta e polverosa. E immediatamente batteria e violino si accodano proprio come se la chitarra, partita da sola, li avesse visti ai bordi della strada e avesse fatto loro un cenno, e loro subito dietro, a seguirla.

Così già ti senti preso per mano. “Senti questa storia, senti cosa ho da raccontarti, seguimi e fidati”.

E così comincia subito dopo a cantare, incalzante e senza tregua, e andrà avanti per la bellezza di otto minuti.

Ad ogni giro della melodia il violino svisa per aggirare la boa e la batteria si produce in rullate che sventagliano tutto l’arco delle percussioni a disposizione. E’ il modo per dirti ogni volta “questa è andata, mettila da parte, ora comincia un altro giro”.

E così riparti. La voce riesce a trasmettere, anche senza comprendere le parole, il senso di un racconto e il tono di una indignazione urlata in piedi e con le spalle dritte, e una richiesta di giustizia che non si spegnerà mai.

Si fa aiutare, nei passaggi dove la musica stoppa e sincopa e sventaglia sulle corde, da un coro di voci femminili che rinforzano e richiamano. E siccome spesso le strofe sono parole quasi più parlate che cantate, la voce di Dylan e quelle del coro si rincorrono, si aspettano, qualche volta quasi inciampano una nell’altra, a dare la sensazione che tutte abbiano urgenza di dire quello che hanno da dire e di dirlo prima di altri.

C’è una capacità di tenere in pugno il ritmo e di raccontare anche solo con la musica e con il tono che raramente si ha la fortuna di sentire.

E via un altro giro.

Non ti dà fiato, sei salito sulla sua diligenza e i cavalli continuano a correre, sempre nella stessa direzione e sempre alla stessa velocità. Incontri sassi, buche, pozze d’acqua, e li senti tutti, ma non ti fermi.

Se ti sei messo ad ascoltare con la giusta concentrazione puoi arrivare alla fine degli otto minuti stremato.

Ci pensa l’arrivo dell’inconfondibile armonica ad rassicurarti sul fatto che il racconto è finito. Non la storia, perché infatti la diligenza prosegue, sfumando, e si allontana all’orizzonte.

E adesso spegni, perché ci saranno pure altre canzoni sul tuo cd, ma non puoi mica sentirle subito dopo questa. Ora ci vuole un po’ di silenzio, e che il silenzio lasciato dallo sfumare della potenza di questa ballata venga prima riempito dal rumore del vento.

“Ecco la storia di Hurricane, l’uomo cui le autorità hanno deciso di dare la colpa per qualcosa che non ha fatto, l’hanno messo in cella ma una volta avrebbe potuto diventare Campione del Mondo. [...] E questa è la storia di Hurricane, ma non sarà finita fino a che al suo nome non sarà fatta giustizia e non gli sarà stato restituito il tempo che ha passato in prigione, l’hanno messo in una cella ma una volta avrebbe potuto diventare Campione del Mondo”

 

B. Dylan, Hurricane
1976

Il testo: http://www.bobdylan.com/songs/hurricane.html
Una traduzione: http://www.maggiesfarm.it/ttt158.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Bob_Dylan
Il film Hurricane (N. Jewison, USA 1999) su imdb: http://www.imdb.com/title/tt0174856/

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